Per Gentiloni una fiducia fragile, in Senato c’è l’incognita Ala

Il governo Gentiloni passa la prova della fiducia anche in Senato ed è ora in carica a tutti gli effetti. Favorevoli 169, contrari 105, 0 gli astenuti. Ala e Lega non hanno partecipato mentre il M5S ha votato contro.

Fiducia nel Senato

“Voi – aveva detto il premier nel discorso all’Aula di Palazzo Madama – sapete che io ho condiviso pienamente la riforma costituzionale che è stata approvata ripetutamente in quest’aula, ma sapete altrettanto bene che i cittadini italiani hanno deciso, il popolo ha deciso con un referendum dal risultato netto. Quindi potrei dire che la fiducia che chiedo a nome del governo al Senato è una fiducia un po’ particolare: chiedo la vostra fiducia ed esprimo la mia fiducia nei confronti del Senato e delle sue prerogative”.

Gentiloni aveva poi spiegato: “non siamo innamorati della continuità abbiamo anzi rivolto una proposta all’insieme delle forze parlamentari per individuare una convergenza più larga. C’è stata una indisponibilità: non un amore della continuità ma la presa d’atto di questa situazione ha spinto le forze che hanno sostenuto questa maggioranza a dar vita a questo governo, per responsabilità“.

L’obiettivo

Quello uscito dalle ultime consultazioni “non è un governo di inizio legislatura ma innanzitutto deve completare la eccezionale opera di riforma, innovazione, modernizzazione di questi ultimi anni. Sul fatto che ci sia una mole di innovazione portata avanti credo non ci sia alcun dubbio: ci viene riconosciuto dai cittadini italiani e in sede internazionale. Sarebbe assurdo che un governo che molti critici accusano di eccesso di continuità, immaginare che completare le riforme avviate non sia il suo compito principale“.

I numeri

Ma in Senato, come detto, i numeri sono più risicati. Ala e Scelta Civica si sono dichiarati fuori. Con una nota meno piccata di quella che aveva commentato l’esclusione dall’esecutivo, i verdiniani hanno annunciato di non votare né la fiducia né contro. Nei mesi che mancano al termine della legislatura decideranno di volta in volta. La decisione dei due gruppi potrebbe minare il percorso dell’esecutivo guidato dall’ex ministro degli Esteri. A Palazzo Madama, infatti, i 18 senatori che fanno riferimento all’ex coordinatore di Forza Italia hanno un ruolo determinante. Senza di loro la maggioranza potrà contare su 112 senatori Pd (il presidente Grasso non vota), 29 tra Ncd e Udc, 19 delle Autonomie, almeno 4 membri di Gal e almeno 5 del gruppo Misto (e con le tre tosiane che, se seguiranno quanto fatto oggi dai loro colleghi deputati, non dovrebbero partecipare al voto). “Tocca non ammalarsi”, ha ironizzato un senatore Ncd. E a ciò si aggiunga il nodo della commissione Affari Costituzionali, teatro del dibattito sulla legge elettorale. Lì è allarme numeri: sulla carta la maggioranza è di 15 senatori a 12 ma includendo la minoranza Pd, la cui pattuglia di 3 membri è tradizionalmente combattiva. Un loro voto contrario produrrebbe un sostanziale pareggio dove, ad essere decisivo, potrebbe essere proprio l’unico esponente di Ala: Riccardo Mazzoni.