Papa: “Il Signore ci chiederà conto dei migranti morti”. Appello alla carità

Serve la carità secondo il Pontefice per "capire chi è per noi Cristo: se Lui è il centro della nostra vita e il fine di ogni nostro impegno nella Chiesa e nella società"

Sui flussi migratori avverte: “Il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza. Sono vittime della cultura dello scarto“. Poi il Papa ricorda le vittime del terremoto di quattro anni fa in Italia centrale: “Sia celere la ricostruzione“. Inoltre il Pontefice richiama tutti a non dimenticare coloro che hanno perso la vita a causa della pandemia di coronavirus: “Ricordiamo le famiglie che hanno sofferto“. 

Richiamo

“È indispensabile e lodevole che la pastorale delle nostre comunità sia aperta alle tante povertà ed emergenze- afferma Francesco all’Angelus-. La carità è sempre la via maestra della perfezione. Ma è necessario che le opere di solidarietà non distolgano dal contatto con il Signore Gesù. La carità cristiana non è semplice filantropia ma, da una parte, è guardare l’altro con gli occhi stessi di Gesù. E dall’altra è vedere Gesù nel volto del povero. Maria Santissima, beata perché ha creduto, ci sia guida e modello nel cammino della fede in Cristo, e ci renda consapevoli che la fiducia in Lui dà senso pieno alla nostra carità e a tutta la nostra esistenza“.

Pacchi alimentari da Caritas Armenia ai poveri

Carità come fondamento

Il Pontefice si è affacciato alla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli e i pellegrini riuniti in piazza San Pietro. Afferma Jorge Mario Bergoglio: “Il Vangelo di questa domenica presenta il momento nel quale Pietro professa la sua fede in Gesù quale Messia e Figlio di Dio. Questa confessione dell’Apostolo è provocata da Gesù stesso, che vuole condurre i suoi discepoli a fare il passo decisivo nella loro relazione con Lui. Infatti, tutto il cammino di Gesù con quelli che lo seguono, specialmente con i Dodici, è un cammino di educazione della loro fede. Prima di tutto Egli chiede: ‘La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?’. Parlare degli altri non è tanto impegnativo, anche se in questo caso è già richiesta la prospettiva della fede e non il pettegolezzo. E i discepoli sembrano fare a gara nel riferire le diverse opinioni, che forse in larga parte essi stessi condividevano. In sostanza, Gesù di Nazaret era considerato un profeta“.

Sul vivo

Prosegue Francesco: “Con la seconda domanda, Gesù li tocca sul vivo: ‘Ma voi, chi dite che io sia?’. A questo punto, ci sembra di percepire qualche istante di silenzio, perché ciascuno dei presenti è chiamato a mettersi in gioco, manifestando il motivo per cui segue Gesù. Per questo è più che legittima una certa esitazione. Li toglie d’imbarazzo Simone, che con slancio dichiara: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. Questa risposta, così piena e luminosa, non gli viene dal suo impulso, per quanto generoso, ma è frutto di una grazia particolare del Padre celeste. Gesù stesso infatti gli dice: ‘Né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli‘. Nello stesso tempo, il Signore riconosce la pronta corrispondenza di Simone all’ispirazione della grazia e quindi aggiunge, in tono solenne. ‘Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa’. Con questa affermazione, Gesù fa capire a Simone il senso del nuovo nome che gli ha dato, ‘Pietro’: la fede che ha appena manifestato è la ‘pietra’ incrollabile sulla quale il Figlio di Dio vuole costruire la sua Chiesa, cioè la sua Comunità.

La domanda di Gesù

Sostiene il Papa: “Oggi, sentiamo rivolta a ciascuno di noi la domanda di Gesù: ‘E voi, chi dite che io sia?’. Si tratta di dare una risposta non teorica, ma che coinvolge la fede, cioè la vita, perché la fede è vita! Una risposta che richiede anche a noi, come ai primi discepoli, l’ascolto interiore della voce del Padre e la consonanza con quello che la Chiesa, raccolta attorno a Pietro, continua a proclamare. Si tratta di capire chi è per noi Cristo: se Lui è il centro della nostra vita e il fine di ogni nostro impegno nella Chiesa e nella società”. E conclude: “Domani ricorrono quattro anni dal terremoto che ha colpito l’Italia centrale. Rinnovo la preghiera per le famiglie e le comunità che hanno subito i maggiori danni. Perché possano andare avanti con solidarietà e speranza. E mi auguro che si acceleri la ricostruzione. Affinché la gente possa tornare a vivere serenamente in questi bellissimi territori dell’Appennino”.