Papa Francesco ad Assisi: “È tempo che ai poveri sia restituita la parola”

Viva il Papa” è il grido dei fedeli che ha accolto Papa Francesco al suo arrivo ad Assisi in occasione della giornata mondiale dei poveri che si celebra il 14 novembre. La prima tappa è alla Basilica di santa Maria degli Angeli: dopo aver salutato i bambini e le persone che si trovavano lungo il percorso verso il sagrato della Basilica. Tre poveri gli hanno consegnato il mantello e il bastone del Pellegrino, a indicare che tutti sono venuti pellegrini nei luoghi di San Francesco. I poveri saranno ospitato per il pranzo da Sua Eccellenza monsignor Domenico Fiorentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino.

Il discorso del Pontefice

Dopo alcune testimonianze, il Pontefice ha pronunciato il discorso che riportiamo in maniera integrale.

“Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Sono stato invitato a partecipare, ma sono qui l’ospite sono io!” esordisce a braccio il Papa che ha parlato dopo aver ascoltato le toccanti testimonianze di alcuni dei presenti.

“Vi ringrazio per avere accolto il mio invito a celebrare qui ad Assisi, la città di San Francesco, la quinta Giornata Mondiale dei Poveri, che ricorre dopodomani. Assisi non è una città come le altre: Assisi porta impresso il volto di San Francesco. Pensare che tra queste strade lui ha vissuto la sua giovinezza inquieta, ha ricevuto la chiamata a vivere il Vangelo alla lettera, è per noi una lezione fondamentale. Certo, per alcuni versi la sua santità ci fa rabbrividire, perché sembra impossibile poterlo imitare. Ma poi, nel momento in cui ricordiamo alcuni momenti della sua vita, quei ‘fioretti’ che sono stati raccolti per mostrare la bellezza della sua vocazione, ci sentiamo attratti da questa semplicità di cuore e di vita: è l’attrazione stessa di Cristo, del Vangelo. Sono fatti di vita che valgono più delle prediche.

Mi piace ricordarne uno, che esprime bene la personalità del Poverello (cfr Fioretti, cap. 13: Fonti Francescane, 1841-1842). Lui e fra Masseo si erano messi in viaggio per raggiungere la Francia, ma non avevano portato con sé provviste. A un certo punto dovettero cominciare a chiedere la carità. Francesco andò da una parte e fra Masseo da un’altra. Ma, come raccontano i Fioretti, Francesco era piccolo di statura e chi non lo conosceva lo riteneva un “barbone”; invece fra Masseo “era un uomo grande e bello”. Fu così che San Francesco riuscì a stento a raccogliere qualche pezzo di pane raffermo e duro, mentre fra Masseo raccolse dei bei pezzi di pane buono. Quando i due si ritrovarono si sedettero per terra e su una pietra misero quanto avevano raccolto. Vedendo i pezzi di pane raccolti dal frate, Francesco disse: “Fra Masseo, noi non siamo degni di questo grande tesoro”. Il frate, meravigliato, rispose: “Padre Francesco, come si può parlare di tesoro dove c’è così tanta povertà e mancano anche le cose necessarie?”. Francesco rispose: ‘È proprio questo che io reputo un gran tesoro, perché non c’è nulla, ma quello che abbiamo è donato dalla Provvidenza che ci ha dato questo pane’. Ecco l’insegnamento che ci dà San Francesco: saperci accontentare di quel poco che abbiamo e dividerlo con gli altri.

Siamo qui alla Porziuncola, una delle chiesette che San Francesco pensava di restaurare, dopo che Gesù che gli aveva chiesto di ‘riparare la sua casa’. Allora mai avrebbe pensato che il Signore gli chiedesse di dare la sua vita per rinnovare non la chiesa fatta di pietre, ma quella di persone, di uomini e donne che sono le pietre vive della Chiesa. E se noi siamo qui oggi è proprio per imparare da ciò che ha fatto San Francesco. A lui piaceva stare a lungo in questa chiesetta a pregare. Si raccoglieva qui in silenzio e si metteva in ascolto del Signore, di quello che Dio voleva da lui. Anche noi siamo venuti qui per questo: vogliamo chiedere al Signore che ascolti il nostro grido e venga in nostro aiuto. Non dimentichiamo che la prima emarginazione di cui i poveri soffrono è quella spirituale. Ad esempio, tante persone e tanti giovani trovano un po’ di tempo per aiutare i poveri e portano loro cibo e bevande calde. Questo è molto buono e ringrazio Dio della loro generosità. Ma soprattutto mi rallegra quando sento che questi volontari si fermano un po’ a parlare con le persone, e a volte pregano insieme a loro… Ecco, anche il nostro trovarci qui, alla Porziuncola, ci ricorda la compagnia del Signore, che Lui non ci lascia mai soli, ci accompagna sempre in ogni momento della nostra vita. Ci accompagna – rimarca a braccio – sempre, sempre!

C’è un altro fatto importante: qui alla Porziuncola San Francesco ha accolto Santa Chiara, i primi frati, e tanti poveri che venivano da lui. Con semplicità li riceveva come fratelli e sorelle, condividendo con loro ogni cosa. Ecco l’espressione più evangelica che siamo chiamati a fare nostra: l’accoglienza. Accogliere significa aprire la porta, la porta della casa e la porta del cuore, e permettere a chi bussa di entrare. E che possa sentirsi a suo agio, non in soggezione. Dove c’è un vero senso di fraternità, lì si vive anche l’esperienza sincera dell’accoglienza. Dove invece c’è la paura dell’altro, il disprezzo della sua vita, allora nasce il rifiuto. L’accoglienza genera il senso di comunità; il rifiuto al contrario chiude nel proprio egoismo. Madre Teresa, che aveva fatto della sua vita un servizio all’accoglienza, amava dire: “Qual è l’accoglienza migliore? Il sorriso”. Condividere un sorriso con chi è nel bisogno fa bene a tutt’e due, a me e all’altro. Il sorriso come espressione di simpatia, di tenerezza.

Il ringraziamento a braccio al cardinal Barbarin

Il sorriso ti coinvolge e dopo tu non vorresti allontanarti dalla persona che ti ha fatto il sorriso – aggiunge ancora a braccio -. Sapete come è nata la giornata? L’idea è nata in modo un po’ strano, in una sagrestia con uno di voi, Étienne, l’enfant terrible – aggiunge in tono scherzoso il Papa – che mi ha dato un suggerimento: ‘Facciamo una giornata dedicata ai poveri’. [il laico Étienne Villemain, presidente dell’associazione Fratello, co-fondatore con Alix Montagne dell’associazione francese e organizzatore dell’incontro di oggi, ndr]. Una volta uscito, ho capito che lo Spirito Santo mi chiedeva di farlo. Tutto è iniziato grazie a uno di voi, che ha avuto il coraggio di portare avanti le cose. Ringrazio il suo lavoro in questo anni e il lavoro di tanti che lo accompagnano.

Vorrei ringraziare – mi scusi eminenza – la presenza tra i cardinali, di Philippe Barbarin, povero fra i poveri Ha subito con dignità la povertà, l’abbandono, la sfiducia. Lui si è difeso col silenzio e la preghiera. Grazie cardinale Brabarin, con la sua opera le edifica la Chiesa!

Vi ringrazio, perché siete venuti qui da tanti Paesi diversi per vivere questa esperienza di incontro e di fede. Incontrarci è la prima cosa, cioè andare uno verso l’altro con il cuore aperto e la mano tesa. Sappiamo che ognuno di noi ha bisogno dell’altro, e anche la debolezza, se vissuta insieme, può diventare una forza che migliora il mondo. Spesso la presenza dei poveri è vista con fastidio e sopportata; a volte si sente dire che i responsabili della povertà sono i poveri! Pur di non compiere un serio esame di coscienza sui propri atti, sull’ingiustizia di alcune leggi e provvedimenti economici, sull’ipocrisia di chi vuole arricchirsi a dismisura, si getta la colpa sulle spalle dei più deboli.

È tempo invece che ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le loro richieste sono rimaste inascoltate. È tempo che si aprano gli occhi per vedere lo stato di disuguaglianza in cui tante famiglie vivono. È tempo di rimboccarsi le maniche per restituire dignità creando posti di lavoro. È tempo che si torni a scandalizzarsi davanti alla realtà di bambini affamati, ridotti in schiavitù, sballottati dalle acque in preda al naufragio, vittime innocenti di ogni sorta di violenza. È tempo che cessino le violenze sulle donne e queste siano rispettate e non trattate come merce di scambio. È tempo che si spezzi il cerchio dell’indifferenza per ritornare a scoprire la bellezza dell’incontro e del dialogo.

Ho ascoltato con attenzione le vostre testimonianze, e vi dico grazie per tutto quello che avete manifestato con coraggio e sincerità. Coraggio, perché le avete volute condividere con tutti noi, nonostante siano parte della vostra vita personale; sincerità, perché vi mostrate così come siete e aprite il vostro cuore con il desiderio di essere capiti. Ci sono alcune cose che mi sono piaciute particolarmente e che vorrei in qualche modo riassumere, per farle diventare ancora più mie e lasciarle depositare nel mio cuore. Ho colto, anzitutto, un grande senso di speranza. La vita non è stata sempre indulgente con voi, anzi, spesso vi ha mostrato un volto crudele. L’emarginazione, la sofferenza della malattia e della solitudine, la mancanza di tanti mezzi necessari non vi ha impedito di guardare con occhi carichi di gratitudine per le piccole cose che vi hanno permesso di resistere.

Resistere. Questa è la seconda impressione che ho ricevuto e che deriva proprio dalla speranza. Cosa vuol dire resistere? Avere la forza di andare avanti nonostante tutto.

Resistere non è un’azione passiva, al contrario, richiede il coraggio di intraprendere un nuovo cammino sapendo che porterà frutto. Resistere vuol dire trovare dei motivi per non arrendersi davanti alle difficoltà, sapendo che non le viviamo da soli ma insieme, e che solo insieme le possiamo superare. Resistere ad ogni tentazione di lasciar perdere e cadere nella solitudine o nella tristezza.

Ripenso alle testimonianze – aggiunge ancora a braccio – alla ragazza afghana con la sua frase lapidaria: ‘con il mio corpo sono qui ma con il cuore sono in Afghanistan’. Resistere nella memoria, ricordando gli altri. Ripenso alla mamma malata: lei resiste grazie all’amore dei suoi figli, nonostante i dolori, che le restituiscono la tenerezza ricevuto da piccoli

Chiediamo al Signore che ci aiuti sempre a trovare la serenità e la gioia. Qui alla Porziuncola, San Francesco ci insegna la gioia che viene dal guardare a chi ci sta vicino come a un compagno di viaggio che ci capisce e ci sostiene, così come noi lo siamo per lui o per lei. Questo incontro apra il cuore di tutti noi a metterci a disposizione gli uni degli altri, per rendere la nostra debolezza una forza che aiuta a continuare il cammino della vita, per trasformare la nostra povertà in ricchezza da condividere, e così migliorare il mondo.

Grazie Étienne: sei stato docile allo Spirito Santo. Grazie al tuo lavoro – aggiunge a braccio – e alla tua testardaggine di portare il Papa ad Assisi. Grazie a tutti. Vi porto nel mio cuore. E non dimenticatevi di pregare per me. Anche io – aggiunge ancora a braccio – ho tante mie povertà.

Le testimonianze: la ragazza afghana

Tra le testimonianza nell’incontro con Papa Francesco ad Assisi c’è anche quella di Farzaneh, giovane ragazza afghana. “Sono nata nella provincia poco sicura di Ghazni e cresciuta in una società patriarcale e misogina e che ha bloccato i miei sogni e le mie aspirazioni le quali hanno giocato, per me, un ruolo importante. Ora sono qui in Italia per alzarmi in piedi con fermezza e procedere a passi in avanti. Ho lasciato la mia terra, ma la mia anima è lì, sono qua fisicamente, ma sono con le ragazze del dormitorio dell’università di Kabul che in questi giorni non possono andare all’università e scegliere da sole, comprare il pane, andare dal fornaio e divertirsi”. La giovane ha detto anche di essere “preoccupata” per la sua famiglia. “Sono figlia di sciiti. Ringrazio la Chiesa Italiana, per averci aiutato e salvato le nostre vite. Comunque io sono qui in Italia, un paese bellissimo”. E ha concluso: “Mi auguro e auguro a tutti che la comunità internazionale adotti un approccio globale per risolvere questo problema e non lasci solo il popolo afgano” colpito “dalla presenza dei Talebani e ora anche dalla fame”.

La testimonianza di Abdul: “I talebani mi hanno ucciso un figlio”

Arriva da Kabul anche Abdul, con la moglie Salima. I suoi figli erano collaboratori dell’esercito italiano in Afghanistan e uno di loro è stato ucciso dai Talebani. “Siamo molto contenti di stare in Italia e ringraziamo il governo italiano che ci ha salvato”. Ma aggiunge: “Siamo molto preoccupati per una parte della nostra famiglia rimasta in Afghanistan e un figlio rifugiato in Turchia e vorremmo il Vostro aiuto – ha detto rivolgendosi a Papa Francesco – per salvare anche loro. Noi siamo una famiglia che ha lavorato con l’esercito italiano e siamo preoccupati per i quattro nostri figli rimasti in Afghanistan. Uno dei miei figli è stato ucciso dal loro. In Afghanistan sono rimasti quattro dei nostri altri figli; temiamo per la loro vita”.

La fede oltre il dolore della malattia

Conclude le testimonianze una donna romena, vedova con due figli, venuta in Italia per lavorare come badante. Ma, una volta rimasta vedova con due bambini, l’arrivo di una malattia devastante che la blocca su una sedia a rotelle con dolori fisici molto forti. “Grazie ai medici che mi hanno aiutata in questi anni con cure costosissime, che non mi sarei mai potuta permettere”. “Oggi, sono i miei figli, ormai grandi, ad occuparsi di me. Nonostante i dolori fisici fortissimi, ho fede nell’amore di Dio”.

La vicenda del cardinal Barbarin

Il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione e primate delle Gallie, il 30 gennaio 2020 è stato assolto in appello – scrive Avvenire – dalla accusa di non aver denunciato abusi sessuali su minori avvenuti tra il 1971 e il 1991,  prima dell’arrivo di Barbarin a Lione come pastore.