OLOCAUSTO

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Fantasmi. Stracci a righe avvolti su pelli rinsecchite. Scheletri dagli sguardi assenti. Perduti nel vuoto di un inferno terreno. Settanta anni fa, il 27 gennaio 1945, i primi soldati dell’Armata rossa arrivarono al campo di Auschwitz e si trovarono di fronte l’orrore. Non che la guerra fino a quel momento non fosse stata piena di fatti terribili, ma lo spettacolo che si presentò ai soldati russi fu sconvolgente. Nulla di immaginabile anche per coloro che da quattro anni combattevano una guerra dove la pietà era parola bandita. Solo ferocia e sangue. Ma lì, ad Auschwitz si concretizzò il Male. Le immagini riprese dai documentaristi sovietici al seguito delle truppe ci rimandano quel momento. Oltre il cancello dove campeggiava e ancora oggi campeggia la scritta Arbeit macht Frei, il lavoro rende liberi, i soldati sovietici trovarono larve d’uomo e di donna inerti che si ammassavano, privi di qualsiasi emozione, verso i reticolati. Trovarono cataste di cadaveri in decomposizione, ossa ammucchiate. La galleria degli orrori è senza fine e non può essere cancellata dal tempo. Tutt’altro, gli uomini degni di questo nome devono avere il coraggio di non distruggere quei segni della nefandezza umana. A monito futuro.

shoa4Questa è la Shoah, la distruzione del popolo ebraico. Meticolosa, feroce al limite della lussuria così come Hitler e i nazisti l’avevano concepita. La “soluzione finale” della questione ebraica che ne ha cancellato sei milioni dall’Europa. Ma ha anche massacrato altri cinque milioni di uomini inseriti nelle liste dei nemici della razza ariana. Zingari, polacchi, comunisti, oppositori a vario titolo, preti e suore colpevoli di tener fede al giuramento a Cristo e non al Fuhrer. Shoah non Olocausto così come preferiscono gli ebrei. Olocausto significa sacrificio, ma nessuno di quei milioni di uomini, donne e bambini si è sacrificato volontariamente. E’ stato eliminato scientificamente. Prima gli hanno tolto l’anima, così come descrisse la sua esperienza nel lager Primo Levi, poi la vita. Uccisi nei modi più barbari. Gasati, torturati, usati per esperimenti medici. Donne stuprate, sventrate in un gioco sadico. Tutto il campionario della bestialità umana ha trovato espressione nei campi di concentramento. Il mondo, l’Europa, ricorda il 25 gennaio come la fine dell’orrore. Ma quel giorno non finì del tutto per i sopravvissuti che quell’orrore hanno portato con sé sempre.

Uno degli ebrei romani, Alberto Sed, superstite con la sorella allo sterminio, ancora oggi, alla soglia dei novant’anni, continua a sanguinare dalle ferite dei ricordi. Numero “A-5491” Alberto fu destinato allo smistamento dei bambini, lui appena adolescente, le SS gli ordinavano di lanciare i bambini in aria così che loro potessero fare il tiro a segno. “Non sono più riuscito a prendere in braccio un bambino – ricorda oggi con voce tremula nella sua casa di Monteverde – neppure i miei figli e i miei nipoti”, e mentre pronuncia queste parole nei suoi occhi appaiano in un flashback quelle immagini al campo di Birkenau.shoa3

L’orrore della Shoah aveva avuto un prodromo altrettanto tragico: lo sterminio degli armeni in Turchia agli inizi del secolo. In quel secolo buio che è stato il Novecento con le guerre mondiali, i massacri pianificati dai nazisti, le bombe atomiche sulle città del Giappone, l’uomo è stato in grado di ripetere errori ed orrori. Nei Balcani con il genocidio dei bosniaci di fede musulmana a opera dei serbi. Le violenze etniche in Africa. E questo Terzo Millennio vede ancora l’uomo figlio di Satana e non di Dio tornare a uccidere, a pianificare la morte dei suoi simili, in nome di una religione di violenza e sopraffazione che è la negazione del senso del soprannaturale. Il fondamentalismo è figlio di quel nazismo che mise in atto lo sterminio degli ebrei e dei diversi. Per non dimenticare. Per non ripetere l’indicibile dobbiamo imprimere nelle nostre menti le immagini di quel 25 gennaio di settanta anni fa, di quegli uomini sopravvissuti nel corpo ma privati del cuore. La memoria come viatico per la vita, la tolleranza e il rispetto dell’altro. Qualsiasi colore abbia la sua pelle, qualsiasi fede professi, qualsiasi sia la sua patria.