‘Ndrangheta: arrestato latitante; sequestrati beni a imprenditore dei clan

Il latitante Gregorio Giofrè, di 57 anni, era ricercato dal dicembre scorso. Sequestrati inoltre beni per un valore di 1,5 milioni di euro all'imprenditore edile Giuseppe Sposato

Gregorio Giofrè

Doppio colpo alla ‘Ndrangheta oggi garzi a due distinte operazioni delle forze dell’ordine. Nella prima, i carabinieri hanno arrestato il latitante Gregorio Giofrè, di 57 anni, ricercato dal dicembre scorso nell’ambito dell’operazione Rinascita-Scott (qui i dettagli) condotta dal Ros e dal Comando provinciale di Vibo Valentia e coordinata dalla Dda di Catanzaro contro le maggiori cosche di ‘ndrangheta del Vibonese e che ha portato all’arresto di oltre 300 persone. Giofrè, secondo l’accusa, sarebbe un esponente apicale della locale di San Gregorio d’Ippona, imparentato con Rosario Fiarè, storico capo locale, attualmente ai domiciliari. L’uomo è stato arrestato nella notte nel corso di un intervento in un’abitazione rurale nella campagne di contrada Batia di San Gregorio d’Ippona dai carabinieri del Ros, del Comando provinciale di Vibo e dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria coordinati dalla Dda di Catanzaro. L’abitazione in cui si era nascosto il latitante è di proprietà di un soggetto ritenuto vicino alla cosca ed era munita di un complesso dispositivo di video-sorveglianza.

La locale di San Gregorio d’Ippona

Dopo la cattura di Saverio Razionale e Gregorio Gasparro, spiega Ansa, Giofrè era ritenuto il più importante esponente della struttura mafiosa in libertà. La locale di San Gregorio d’Ippona, sin dagli anni ’80, è stata fedele ai Mancuso di Limbadi ed i suoi più influenti appartenenti sono stati centrali per consentire ai Mancuso stessi la gestione unitaria della ‘ndrangheta vibonese. I vertici del clan Mancuso sono finiti in manette nell’aprile del 2019. Secondo l’accusa, avvalorata anche dalle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia, Giofrè – indagato per associazione mafiosa ed una serie di condotte estorsive aggravate dal metodo mafioso – aveva il compito di organizzare la riscossione delle estorsioni agli imprenditori secondo un sistema centralizzato, valido per tutta la provincia, che consentiva alle cosche di ottenere una somma – normalmente ammontante al 3% del valore dei lavori – sia per quella del luogo in cui il lavoro veniva eseguito ma anche per quella del luogo di provenienza dell’imprenditore, secondo dinamiche che consentivano l’alimentazione di una bacinella comune. Giofrè, inoltre, è anche ritenuto dagli investigatori il punto di riferimento ultimo per le interlocuzioni con esponenti delle cosche di diverse province che conoscevano il suo ruolo e gestivano l’azione estorsiva secondo un modello che conferma l’unitarietà dell’organizzazione mafiosa calabrese, non solo dal punto di vista formale ma anche sostanziale.

L’imprenditore dei clan

La seconda operazione contro la ‘Ndrangheta è stata effettuata sempre oggi nei confronti di un noto imprenditore edile, Giuseppe Sposato, di 55 anni. E’ accusato di intraneità al gruppo mafioso Sposato-Tallarida operante a Taurianova. I finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e dello Scico, con il coordinamento della Dda diretta da Giovanni Bombardieri, gli hanno sequestrato beni per un valore di 1,5 milioni di euro. Sposato – ripercorre Ansa – era stato arrestato nel dicembre 2017, insieme ad altre 46 persone, nell‘operazione “Terramara Closed” con l’accusa di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni ed estorsione aggravati dal metodo mafioso. Gli indagati erano accusati di essere legati alla cosca Avignone – Zagari – Fazzalari – Viola. Nello specifico, era accusato di avere avuto “compiti di decisione, pianificazione delle associazioni criminali da compiere e degli obiettivi da perseguire con riferimento all’intera organizzazione criminale, nel settore delle estorsioni, delle intestazioni fittizie di beni, nonché per l’aggiudicazione degli appalti pubblici e privati“.

Controllo del territorio

Secondo l’accusa, l’egemonia imprenditoriale “mafiosa” degli Sposato si era espressa nel progetto di gestione del cimitero di “Iatrinoli”, affidato agli predetti dall’amministrazione comunale dell’epoca, in assenza di gara ad evidenza pubblica, poi revocato dalla Giunta subentrata successivamente, nonché dal “controllo del territorio” esplicato attraverso l’imposizione delle imprese riconducibili alla famiglia quali uniche fornitrici di materiale per lavori edili nell’ambito territoriale di competenza. Sulla base di quanto emerso nel corso dell’operazione, la Dda reggina, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri, ha delegato alla Guardia di finanza un’indagine a carattere economico-patrimoniale. Il Gico della Guardia di finanza ha ricostruito, attraverso approfondimenti sulle transazioni economico-finanziarie e patrimoniali effettuate negli ultimi 20 anni, il patrimonio complessivamente accumulato dal nucleo familiare di Sposato evidenziando una ingiustificata differenza tra il reddito dichiarato e il patrimonio posseduto, anche per interposta persona, ma soprattutto, quella che gli inquirenti hanno definito “la natura mafiosa dell’attività d’impresa svolta nel tempo quale imprenditore espressione della cosca di riferimento”. Alla luce dei risultati delle indagini della Finanza, la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta del procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e del pm Giulia Pantano, ha disposto il sequestro dei beni.