LA LOTTA DEL NEPAL PER IL FUTURO

Quattordici Re, 3 guerre importanti e 240 anni di monarchia indù. Questi i principali elementi che caratterizzano la storia di un Regno, quello del Nepal che dal 2007 ha sperimentato una forte cesura storica con l’approvazione di un emendamento costituzionale che ha sancito i primi passi verso la trasformazione dell’ordinamento statale. Il 28 maggio con la destituzione dell’ultimo sovrano, Gyanendra, è stata proclamata la nascita della Repubblica.

Un cambiamento epocale che ha segnato l’inizio di un periodo di conversione politica ancora in atto e che attende la stesura della sua prima Costituzione. Un importante traguardo verso la democrazia e l’uguaglianza etnica nel paese. In attesa di una nuova ‘deadline’ per l’approvazione della Carta, gli stessi vertici della chiesa nepalese pregano affinché possa iniziare una nuova stagione di pace e ricostruzione.

Il 9 novembre 2014, Papa Francesco durante l’Angelus ha ricordato la ricorrenza dei 25 anni dalla caduta del muro di Belino. Proprio in quella occasione il Pontefice aveva lanciato un appello chiedendo agli uomini di tutto il mondo di impegnarsi per diffondere una cultura dell’incontro, capace di far cadere tutti i muri che ancora dividono le popolazioni. “Non accada più che persone innocenti siano perseguitate e perfino uccise a causa del loro credo e della loro religione. Dove c’è un muro c’è chiusura di cuore! Servono ponti, non muri!”.

Furono queste parole ad accendere il desiderio di un futuro diverso per il Nepal. Tanto che Pushpakamal Daha, presidente dello Ucpnm, maoista dichiarò la sua gratitudine a Bergoglio e aggiunse: “Anche se il Papa si è riferito in modo diretto alla divisione della Germania, il suo messaggio è ugualmente importante per il nostro contesto. Ogni religione, razza, pratica, cultura, tradizione e differenza sociale deve essere garantita con uguale e giusto trattamento”.

Purtroppo però c’è sempre una battaglia in atto quando si tratta di promuovere la pace e la convivenza tra comunità diverse. Non tutti i politici sembrano essere pienamente in comunione sulle scelte riguardanti il Paese. Tra entusiasmi e brusche frenate la Repubblica fatica a nascere e alcuni deputati hanno fatto un vero proprio dietro front diplomatico rifiutando l’approvazione della bozza della legge fondamentale, fissata per il 22 gennaio.

Il primo ministro nepalese Sushil Koirala ha manifestato la sua “profonda tristezza” per il fallimento registrato dall’Assemblea costituente e in un messaggio televisivo registrato non molti giorni fa, ha osservato che “i partiti hanno finito per litigare fra loro piuttosto che lavorare per l’obiettivo che si erano prefissati nel 2014”.

Un passaggio a vuoto nella politica del Paese che apre un futuro di incertezza e instabilità soprattutto per le minoranze che attendevano nuove garanzie per la laicità e la libertà religiosa. Lo scorso giugno oltre 40 leader cristiani sono stati arrestati con l’accusa di “conversioni forzate”. Una folla indù si era radunata fuori il carcere minacciando una rivolta qualora queste persone fossero state liberate. Il Nepal ha poco più di 23 milioni di abitanti, per l’80% induisti. La religione cristiana – cattolica e protestante – ha registrato recentemente un forte aumento, passando dai quasi 4.000 fedeli del 1975 agli oltre 250.000 di oggi, pari a circa l’1% della popolazione. Un dato che sembra rivelare un vero e proprio mutamento all’interno del panorama religioso del Paese per secoli segnato dall’odio che l’estremismo indù aveva incoraggiato verso etnie e credi diversi. “Non più muri ma ponti” è l’eco che in questi mesi accompagna la silenziosa lotta dei nepalesi per ottenere uno Stato laico dove ogni cittadino possa essere libero di professare la propria fede.