Italia e coronavirus, la fotografia dell’Istat: aumentano le disuguaglianze

L'impatto del virus ha scavato i divisori sociali e colpito indifferentemente adulti e bambini. Ma, in un quadro di incertezza generale, aumenta la coesione delle famiglie

Le cicatrici lasciate dal coronavirus sono tante e profonde. Alcune non possono nemmeno definirsi tali, ma sono ferite che continuano a provocare emorragie che il Paese fatica a fermare. E il quadro dell’Istat nel Rapporto annuale non può non tenerne conto. Solo per dirne una, spiega l’Istituto di Statistica, “nella difficile situazione economica generata dalle misure di contrasto alla pandemia, la presenza di una consistente porzione di occupazione non regolare rappresenta un ulteriore fattore di fragilità per un numero elevato di famiglie”. Informazione supportata dai numeri: “Nella media del triennio 2015-2017 circa 2,1 milioni di famiglie (per oltre 6 milioni di individui) hanno almeno un occupato irregolare; la metà, poco più di un milione, ha – sottolinea – esclusivamente occupati non regolari”.

Istat, il quadro

Se poi si parla di scuola, il quadro non diventa più confortante: “L’Italia presenta livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell’Unione europea, anche con riferimento alle classi di età più giovani”. E, in relazione alla pandemia, si stima che l’impatto del Covid abbia fatto sì che “il 45,4% degli studenti di 6-17 anni (pari a 3 milioni 100mila) ha difficoltà nella didattica a distanza per la carenza di strumenti informatici in famiglia, che risultano assenti o da condividere con altri fratelli o comunque in numero inferiore al necessario”. Resta però un punto sostanziale. Il lockdown, infatti, al netto di quanti ritenevano che la convivenza forzata potesse causare qualche crepa nel focolare domestico, la tendenza sembra essere stata opposta. Secondo l’Istat, la coesione del nucleo familiare si è “manifestata nell’alta fiducia che i cittadini hanno espresso nei confronti delle istituzioni impegnate nel contenimento dell’epidemia, e in un elevato senso civico verso le indicazioni sui comportamenti da adottare”.

Spese sanitarie

Sta di fatto che, al netto di un lockdown imprevisto e che ha paralizzato il Paese bloccando, in alcuni casi, la possibilità di elevazione sociale per le categorie più disagiate, l’Italia si trova ora in una fase di incertezza. Come spiegato dall’Istat, “l’emergenza sanitaria interviene a valle di un lungo periodo in cui il servizio sanitario nazionale è stato interessato da un ridimensionamento delle risorse”. Su questo piano, “dal 2010 al 2018 la spesa sanitaria pubblica è aumentata solo dello 0,2% medio annuo a fronte di una crescita economica dell’1,2%”. La spesa per investimenti delle aziende sanitarie è scesa dai 2,4 miliardi del 2013 a poco più di 1,4 miliardi nel 2018. Rispetto al 2012 “il solo personale a tempo indeterminato del comparto sanità si è ridotto di 25.808 unità (-3,8%): i medici sono passati da 109mila a 106mila (-2,3%) e il personale infermieristico da 272mila a 268mila (-1,6%)”.

Nuove diseguaglianze

Capitolo lavoro. Altro punto sensibile, forse il più complesso. Secondo Istat, la quota degli smartworker è aumentata sensibilmente, arrivando ad accrescersi di 4 milioni di occupati. Come spiegato dall’Istituto di Statistica, “la stima dell’ampiezza potenziale del lavoro da remoto, basata sulle caratteristiche delle professioni, porta a contare 8,2 milioni di occupati (il 35,7%)”. Si scende “a 7 milioni escludendo gli impieghi per cui in condizioni di normalità è comunque preferibile la presenza (ad esempio gli insegnanti)”. Il tutto in orari ritenuti rigidi per 17 milioni di lavoratori. A ogni modo, “l’arrivo del Covid ha portato al sovrapporsi delle disuguaglianze sulle precedenti disuguaglianze del mercato del lavoro”.

Scuola e natalità

Per quanto riguarda i minori, secondo l’Istat “la chiusura delle scuole imposta dall’emergenza epidemica può produrre un aumento delle diseguaglianze tra i bambini: nel biennio 2018-2019 il 12,3% dei minori di 6-17 anni (pari a 850mila) non ha un pc né un tablet ma la quota sale al 19% nel Mezzogiorno (7,5% nel Nord e 10,9%nel Centro). Lo svantaggio aumenta se combinato con lo status socio-economico: non possiede pc o tablet oltre un terzo dei ragazzi che vivono nel Mezzogiorno in famiglie con basso livellodi istruzione”. Inoltre, “svantaggi aggiuntivi per i bambini possono derivare dalle condizioni abitative. Il sovraffollamento abitativo in Italia è più alto che nel resto d’Europa (27,8%contro 15,5%), soprattutto per i ragazzi di 12-17 anni (47,5%contro 25,1%)”.

Un tema, questo, che va di pari passo alla demografia del nostro Paese. Secondo Istat “solo il 5,5% ne desidera uno mentre un quarto è indeciso sul numero”. Parte del calo della natalità, spiega, è “dovuta indotti dalla significativa modificazione della popolazione femminile in età feconda”. Un effetto “struttura” che “incide per il 67% sulla differenza di nascite osservata nel periodo. La restante quota dipende invece dalla diminuzione della fecondità da 1,45 figli per donna a 1,29″.