Io resto a casa. E chi non ce l’ha? Vi racconto il dramma dei clochard in tempo di Covid-19

La politica sembra non avere tempo adesso per pensare anche a loro, persone già ai margini della società che ora sono più esposti al contagio

clochard

#iostoacasa. Ma come fanno quelli che una casa non ce l’hanno? In Italia ci sono 50.724 persone senza tetto. Questa fotografia è stata scattata dall’ultima indagine ISTAT sul fenomeno delle persone senza dimora che risale al 2014. Per la maggior parte si tratta di uomini con un’età media di 44 anni e basso titolo di studio. Vivono in strada, a volte nei servizi di accoglienza notturna. Mangiano nelle mense comunali oppure al bar. Si lavano ogni tanto presso le docce comunali.

Tutti servizi che ora sono chiusi. La politica sembra non avere tempo adesso per pensare anche a loro. E così accade che persone che già vivono ai margini adesso sono ancora più esposte al rischio di essere contagiati. E non godono certo di una salute particolarmente buona.

In questa emergenza vi sono diverse realtà che si adoperano per gli ultimi. Fra queste vi è la Comunità Papa Giovanni XXIII che gestisce in tutta Italia diverse case di accoglienza per senza fissa dimora: le Capanne di Betlemme, come le volle chiamare Don Oreste Benzi.

Fin da subito si è dovuto trovare il giusto equilibrio tra la necessità di aiutare chi è sulla strada e quella di tutelare la salute di volontari e accolti. Una scelta di responsabilità in linea con le disposizioni delle autorità. La Comunità ha quindi deciso di continuare ad aprire le porte di casa, però richiedendo a chi viene accolto dalla strada di accettare una quarantena che tuteli le persone, spesso fragili, già presenti nelle case dell’associazione. Ai clochard che già erano presenti nelle case è stato invece proposto di restare ospiti in modo stabile in questo periodo, senza possibilità di uscire e rientrare, se non per motivi urgenti e comunque sempre accompagnati. Anche ai volontari è stata fatta la stessa proposta: o dentro o fuori. E la gratuita generosità di tanti giovani non è venuta meno neanche in questi difficili momenti.

Ma come incontrare i tanti che ancora sono sulla strada? Una testimonianza significativa viene dall’Abruzzo. Qui i volontari si sono divisi i compiti. Una parte è rimasta dentro la casa con gli accolti, condividendo i lavori domestici, piccole attività, momenti di svago. Un’altra parte è rimasta fuori per incontrare, con le dovute precauzioni, le persone che ancora sono in strada offrendogli il minimo di assistenza per sopravvivere. Non solo. I volontari stanno cercando di mettere al sicuro le persone rimaste in strada almeno temporaneamente per superare questi mesi di emergenza in cui nessuno può restare fuori. La ricerca è doppia. Da un lato i volontari stanno cercando soluzioni abitative – bed and breakfast, appartamenti sfitti -, dall’altro cercano benefattori che coprano le spese per questi mesi. In questi primi giorni i volontari hanno “sistemato” una ventina di persone con questa modalità.

Diceva don Benzi: “Il Signore ci ha costituiti come popolo, e un popolo che lascia indietro qualcuno dei suoi membri non è un popolo, ma un’accozzaglia di gente!”