Il Pontefice domani parteciperà a Trieste alla giornata di chiusura della settimana sociale dei cattolici italiani. In occasione della sua partenza per la città friulana parla di fratellanza umana, di democrazia e del valore del rischio, quale mezzo per raggiungere la libertà
“Da Trieste, città affacciata sul Mar Mediterraneo, crogiuolo di culture, di religioni e di popoli diversi, metafora di quella fratellanza umana cui aspiriamo in questi tempi oscurati dalla guerra, possa scaturire un impegno più convinto per una vita democratica pienamente partecipata e finalizzata al vero bene comune”. È l’auspicio di Papa Francesco, che domani arriverà a Trieste per concludere la settimana sociale dei cattolici italiani.
In un testo inedito con cui introduce “Al cuore della democrazia”- il libro che domani sarà in omaggio per i lettori del Piccolo – il Santo Padre osserva che la democrazia è una forma di governo che, “se da un lato si è diffusa in modo globale negli ultimi decenni, dall’altro pare soffrire le conseguenze di un morbo pericoloso, quello dello scetticismo democratico”. “La difficoltà delle democrazie nel farsi carico della complessità del tempo presente – pensiamo alle problematiche legate alla mancanza di lavoro o allo strapotere del paradigma tecnocratico – sembra talvolta cedere il passo al fascino del populismo”, il monito del Papa, secondo il quale “la democrazia ha insito un valore grande e indubitabile: quello dell’essere insieme, del fatto che l’esercizio del governo avviene nell’ambito di una comunità che si confronta, liberamente e laicamente, nell’arte del bene comune, che non è altro che un diverso nome di ciò che chiamiamo politica”.
“Insieme” è sinonimo di “partecipazione”, ricorda Francesco citando la Lettera a una professoressa di don Milani: “problemi che abbiamo davanti sono di tutti e riguardano tutti. La via democratica è quella di discuterne insieme e sapere che solo insieme tali problemi possono trovare una soluzione. Perché in una comunità come quella umana non ci si salva da soli”. No, allora, a quella visione antropologica basata sull’”utilitarismo materalistico”, come lo definiva Giuseppe Toniolo, sì invece alla democrazia come partecipazione, che “domanda di metterci del proprio, di rischiare il confronto, di far entrare nella questione i propri ideali, le proprie ragioni.
Di rischiare. Ma il rischio è il terreno fecondo su cui germoglia la libertà. Mentre invece, stare alla finestra di fronte a quanto accade intorno a noi, non solo non è eticamente accettabile ma anche, egoisticamente, non è né saggio né conveniente”. Tra le “tante questioni sociali” sulle quali, “democraticamente, siamo chiamati a interagire”, Bergoglio cita “un’accoglienza intelligente e creativa – che coopera e integra – delle persone migranti, fenomeno che Trieste conosce bene in quanto vicina alla cosiddetta rotta balcanica; l’ inverno demografico, che colpisce ormai in maniera pervasiva tutta l’Italia, e in particolare alcune regioni; la scelta di autentiche politiche per la pace, che mettano al primo posto l’arte della negoziazione e non la scelta del riarmo. In sintesi, quel prenderci cura degli altri che Gesù continuamente ci indica nel Vangelo come l’autentico atteggiamento nell’essere persone”.
Fonte: Angesir
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