IL NUOVO RISIKO DEL MEDIO ORIENTE

I primi anni del Novecento videro le grandi potenze dividere il mondo arabo in zone di competenza. Su quel tavolo apparecchiato dal francese François Georges-Picot e dal britannico Mark Sykes c’era un primitivo Risiko, al centro del quale campeggiava l’immagine del Medio Oriente. E così, in seguito alla sconfitta dell’impero ottomano nella prima guerra mondiale, si cercò di definire lo scenario: Francia e Regno Unito erano pronti a riconoscere e proteggere uno Stato arabo indipendente o una confederazione di Stati arabi sotto la sovranità di un capo arabo, la Russia aveva interesse a definire la propria sfera di influenza. Ne venne fuori uno scacchiere riempito via via di Stati Nazionali.

Oggi quel “disegno” è diventato irriconoscibile, anche se tutte e tre le potenze citate proseguono nell’intento di gestire – direttamente o indirettamente – quegli stessi territori. Secondo il prof. Uzi Rabi, direttore del Moshe Dayan Institute dell’Università di Tel Aviv, uno dei maggiori esperti del Medio Oriente, “non esistono più Stati nazionali come l’Iraq, la Siria o la Libia, né torneranno ad esistere. Continuare a pensare nei termini delle mappe che ancora sono appese sui nostri muri o dei confini tracciati dall’accordo Sykes-Picot del 1921 è sbagliato”.

Rabi ha origini iraniane-irachene, parla perfettamente il farsi e l’arabo, oltre che l’ebraico, l’inglese, e un buon numero di altre lingue. E’ un conoscitore profondo della regione, in cui – afferma – ci sono Stati che hanno una propria coesione, come l’Egitto o la Tunisia, ma altri che sono ormai scomparsi e i politici occidentali farebbero bene a prenderne atto. “Se guardo la mappa dell’Iraq, vedo tre entità diverse che, fra l’altro, già preesistevano alla divisione fatta dagli inglesi e dai francesi sullo spoglie dell’Impero Ottomano. Ovvero la regione sciita, il Kurdistan e la zona sunnita”.

“Se guardo la Siria, vedo un ‘alawitistan’, ovvero una zona sotto il controllo degli alawiti di Assad e ora difeso da russi e iraniani, che diventerà probabilmente la piccola Siria, poi un drusistan (terra dei drusi), ai confini con Israele, un Kurdistan e aree cristiane al nord e un’area in mano all’Isis, che si espande anche in Iraq, inglobando Mosul”. Il prof. Rabi ritiene che l’Isis sia una realtà destinata a durare e a minacciare il mondo, in quanto non vi è una coalizione unitaria per combattere i fondamentalisti del Califfato. “Ogni Paese confinante ha una propria agenda, altre priorità, anche se l’Isis fa paura a tutti”. Così il Califfato, per definizione stessa “antistatale” e “antinazionale”, in quanto riconosce solo il valore del Corano in un’interpretazione del settimo secolo e tuttavia diffuso attraverso i social media del XXI secolo, si rafforza e prepara nuove espansioni. “La Giordania è la nazione più a rischio e a difenderla ci sono Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita ed Egitto”.

“Ma anche Israele e palestinesi – ha aggiunto l’accademico – farebbero bene a mettersi d’accordo, perché il pericolo che l’Isis si inghiotta la Cisgiordania è reale”. L’Isis è dunque una realtà invincibile nel medio periodo? “No – risponde il professore – ma ci vorrebbero alcune condizioni che mancano: un piano decennale e molto costoso che veda l’impegno unitario e sincero di tutti gli attori della regione; una guerra economica che “tagli le mani” a chi compra petrolio o altro dall’Isis; una guerra di propaganda che usi soprattutto i social network; l’invio di forze speciali che parlino arabo e siano in grado di ottenere l’appoggio delle tribù sunnite locali; un martellamento costante sull’imminenza di una guerra convenzionale”.