Fase 2, allarme di Confesercenti: “Nessuna certezza per le imprese, c’è sfiducia per il futuro”

Il segretario generale Mauro Bussoni a Interris.it: "Mancano le prospettive: cosa verrà dato alle imprese alla fine di questi mesi? E preoccupa il crollo previsto dei consumi"

Che sia pronta o meno, l’Italia prova il primo strappo per tentare il recupero della normalità. O, almeno, di un simulacro di quella che fu la quotidianità prima della pandemia. Solo un primo passo, ma comunque un tentativo di di allentare il lockdown e provare a far scorrere nuovamente le giornate in modo più o meno normale. Anche se non per tutti sarà così. Anzi, forse per la maggior parte il 4 maggio si presenta come la pietra angolare di un futuro piuttosto incerto, fra lo spettro della risalita del contagio e i dubbi rimasti sul cosa si può fare e cosa no. Per le imprese la questione è ancora più spinosa e non sembra potersi risolvere con la prima sterzata in direzione di una riapertura: “Il problema, principalmente oggi – ha spiegato a Interris.it Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti -, alla luce di quanto approvato e deliberato finora, è che si era partiti con una serie di aspettative, dai 600 euro al fatto che sarebbero stati resi disponibili importi importanti per quanto riguarda il credito”.

Le misure

Al momento, fra chi riapre e chi resta chiuso (almeno il 40% delle imprese), la situazione resta alquanto spigolosa, perlomeno su un piano pratico e, nondimeno, per capire se e quanto l’economia potrà davvero ripartire: “Ci si trova in una situazione – ha spiegato ancora Bussoni – in cui gran parte delle imprese, fra quelle che noi rappresentiamo, rischiano di rimanere inattive per più di tre mesi. E le risposte date fino adesso sono state insufficienti, al di là dei 600 euro e forse degli 800 promessi. Il credito non sta funzionando, ci sono problemi sul credito aggiuntivo, quello disponibile viene principalmente utilizzato dalle banche per risolvere situazioni pregresse che non erano coperte da garanzie”. Uno scenario che, al di là del 4 maggio, starebbe contribuendo a creare un generale clima di insoddisfazione: “Sta montando, in moltissimi imprenditori, una sfiducia verso il futuro. I provvedimenti fin qui adottati non danno certezze alle imprese, manca un quadro per il futuro. Le riaperture lasciano perplessi: perché non aprire da subito esercizi con meno di 400 mq di superficie, che garantiscono, da un punto di vista della flessibilità, minori spostamenti ma danno servizi molto importanti?“.

I redditi persi

Il problema orbita sempre attorno alla logica del quanto, oltre che del come, in una fase in cui chi resta chiuso necessita di sostegni concreti: “Sono le prospettive che mancano: alla fine di questi mesi cosa verrà dato alle imprese? Il turismo, quasi sicuramente, avrà un 2020 totalmente in negativo. Occorre far capire alle imprese che, se dovranno rimanere chiuse – non perché l’hanno scelto -, qualcosa in più occorrerà darlo. Va fatto un discorso di detassazione di tributi, contributi e tasse, il 75% di quello che è dovuto dalle imprese che non possono continuare a indebitarsi”. Uno step altrettanto necessario, secondo il segretario generale Confesercenti, è agire in direzione dei redditi persi, “uscire dalla logica di indebitamento e garantire il fondo perduto proporzionato all’attività svolta dai singoli imprenditori negli anni precedenti”.

Strategie e supporti

Sostegni nell’immediato e strategie per il futuro. La panacea della ripartenza funziona così: “Bisognerà organizzare i locali in modo diverso, prevedere crediti di imposta nella misura del 70% almeno. Sul lavoro c’è da detassare la flessibilità interna, favorire lo smartworking, il tempo determinato dovrà essere reso più flessibile e senza restrizioni perché si andrà verso gestioni che comporteranno un modo di lavorare diverso. Sul credito, va elevata la somma dei 25 mila ad almeno 50 mila euro, e devono essere resi disponibili immediatamente”. Ma non basta, non del tutto: “C’è un elemento di preoccupazione contenuto nel Def: si prevede il crollo dei consumi interni per 75 miliardi, sarà un dramma per la nostra economia. E questo periodo di chiusura ha favorito le vendite online, aumentando un divario competitivo, scavando un ulteriore gap con le altre attività distributive. Queste sono attività che andranno sostenute. Andrebbe fatto un piano specifico nei loro confronti, anche con un reddito d’imposta forfettario sul volume d’affari che andranno a conseguire, perché rappresentano punti di riferimento per il territorio”.

Insoddisfazione complessiva

Fermo restando le difficoltà oggettive nella gestione dell’emergenza, resta il fatto che il 4 maggio non può ancora rappresentare uno slancio verso il superamento della fase critica ma, come osservato dal premier, l’inizio di una fase di convivenza con il virus. Per questo, per chi resta ancora chiuso, sembra mancare una prospettiva concreta: “Se non sanno che possono far affidamento su prestiti a fondo perduto o a tasso agevolato, è ovvio che tanti saranno costretti a chiudere, non ci sono prerogative per andare avanti. La cosa peggiore – ha concluso Bussoni – è che si fanno riaprire le imprese con il contagocce ma non si dice loro quali saranno gli aiuti previsti che gli si daranno per poter garantire un’attività futura. I gruppi di auto-protesta che si stanno manifestando, testimoniano una situazione di grave difficoltà e di grande insoddisfazione per quanto fatto fino a oggi”.