Crisi politica in Uk: May assediata, l’Ue presenta il conto della Brexit

Riteniamo morti i 58 dispersi“. La polizia di Londra è lapidaria nel confermare la sorte delle persone rimaste intrappolate nell’inferno della Grenfell Tower, il grattacielo di 24 piani devastato da un incendio scoppiato nel cuore della notte tra il 12 e il 13 giugno. Il bilancio sale così a 70 vittime in una Gran Bretagna che, tra terrorismo, tragedie come questa e incertezze politiche, è già in ginocchio.

Rabbia

Nelle strade monta la rabbia dei cittadini. In mille si sono recati davanti al numero 10 di Downing Street per protestare contro la premier Theresa May e il modo in cui ha gestito il trauma provocato dalla strage, chiedendone le dimissioni immediate. Una mobilitazione spontanea ma tutto sommato pacifica che arriva a poche ore da quella, furente, andata in scena davanti allo scheletro carbonizzato della Grenfell Tower dove May, con colpevole ritardo, si è recata nella sera di giovedì. “Vergognati, codarda” le avevano urlato in quella circostanza i residenti del quartiere colpito, quando l’avevano vista entrare nel centro d’aiuto improvvisato nel complesso della chiesa di Saint Clements. Una protesta feroce, tra grida, insulti e lancio di oggetti. Alla fine la premier è stata costretta ad ammettere che l’appoggio fornito alle famiglie delle vittime “è stato insufficiente” promettendo “un’inchiesta pubblica, aperta e trasparente” con le spese legali pagate interamente dal governo.

Strategia suicida

Ma non basta. A nulla sono servite le parole della ministra Andrea Leadsom, secondo cui May “ha il cuore a pezzi”. In molti vedono nella sua cautela una precisa scelta politica: quella di non mostrarsi in pubblico per il timore di contestazioni dopo le ultime elezioni e la sua risolutezza nel chiedere alla regina Elisabetta II l’incarico a formare un nuovo governo nonostante i Labour non abbiano più i numeri per governare da soli.

Londra debole

Una precarietà che il Regno rischia di pagare a caro prezzo specie sul fronte delle trattative con l’Unione europea sulla Brexit. Lunedì a Bruxelles prenderanno finalmente il via i negoziati ufficiali per tracciare il percorso che porterà Londra fuori dall’Unione. Ma la strada da percorre appare tutta in salita, ricca di ostacoli e particolarmente accidentata a causa proprio a causa dell’incertezza politica che ancora regna sovrana a Downing Street e dintorni.

Partita difficile

L’appuntamento è fissato per la mattina del 19 giugno. Nel palazzo Berlaymont, il quartier generale della Commissione Ue, il capo negoziatore europeo Michel Barnier e la sua controparte, David Davis, daranno il via a una trattativa che non ha precedenti perché mai, finora, un Paese aveva chiesto di lasciare l’Unione. Sul tavolo da subito due questioni tanto importanti quanto delicate. L’Ue vuole avere garanzie sul futuro trattamento dei suoi cittadini residenti oltre-Manica. Ma chiede anche a Londra di onorare gli impegni economico-finanziari presi, almeno fino a quando non si staccherà dal consesso comunitario. E questo per non cadere ostaggio di una infinita battaglia sul bilancio comunitario che avrebbe importanti ripercussioni anche nei rapporti tra i 27.

Conto salato

Per la Gran Bretagna il conto rischia di essere assai salato, sia in termini finanziari che politici. Nelle scorse settimane si è parlato di circa 100 miliardi di euro di impegni da onorare. Ed anche se la fattura finale dovesse scendere a 40 miliardi, come prospettato da alcuni osservatori conti alla mano, per qualsiasi formazione politica inglese sarà assai difficile spiegare, e soprattutto far digerire all’opinione pubblica, un costo così elevato. Specie dopo una campagna di comunicazione che per anni ha battuto solo sul tasto dei vantaggi che il Regno Unito avrebbe avuto dalla Brexit. Per Londra non sarà quindi affatto facile uscirne bene.

I tempi cambiano

Rispetto a un anno fa, quando l’Ue sembrava essere sul punto della disgregazione sull’onda di un populismo dilagante, c’è stata una netta inversione di tendenza. L’asse Parigi-Berlino è tornato a essere il motore dell’integrazione europea e progettare ulteriori passi avanti nella costruzione di un’Europa – e soprattutto di un’Eurozona – più coesa non è più un tabù. Resta ora da vedere come May, più debole che mai, potrà giocare una partita da cui dipende non solo la sua carriera politica, ma un’economia ormai basata in gran parte su servizi che, se perderanno il “passaporto” Ue, dovranno rinunciare a un mercato di oltre 400 milioni di persone.