Coronavirus, Israele richiude: escalation di contagi, torna il lockdown

Il governo decide per una chiusura di due settimane, includendo Kippur e Capodanno ebraico, a fronte della crescita esponenziale di contagi delle ultime settimane

Contagi in crescita e azione preventiva decisa per scongiurare guai peggiori: Israele è il primo Paese al mondo che ripristinerà la misura di lockdown, proposta dal comitato ministeriale di Tel Aviv a fronte della risalita della curva epidemiologica delle ultime settimane. Per il momento una quindicina di giorni, giusto il tempo di far rientrare la festa di Rosh ha-Shanà, quella del Capodanno ebraico, durante il periodo delle nuove chiusure. Così come accadrà anche al digiuno di Kippur.

Dopodiché, se le restrizioni avranno l’effetto di regolare l’andamento dei contagi, si procederà a un nuovo graduale allentamento. Particolari misure di prevenzione nelle città più grandi, con riduzione quasi totale delle attività commerciali nelle aree della movida notturna e chiusura delle scuole.

L’andamento del virus

In sostanza, dall’1 al 15 ottobre (con decisione definitiva attesa dopo il ritorno di Netanyahu da Washington, forse domenica con partenza da mercoledì) si ritornerà a regime di chiusura, esattamente come nei periodi peggiori della pandemia. Quelli di cui il governo – pur nelle difficoltà politiche dovute a tre tornate elettorali in meno di un anno, andate pressoché tutte a vuoto – cercherà di scongiurare il ritorno. Mercoledì scorso, erano 474 le persone ricoverate per Covid in gravi condizioni, mentre dall’inizio della pandemia il numero dei decessi ha superato le mille unità.

Numeri che, vista la recrudescenza che ha colpito il Paese, ha spinto le autorità a disporre una misura che la scorsa primavera appariva alquanto remota. Israele, infatti, aveva tutto sommato contenuto il progredire del coronavirus nel Paese, riuscendo a mantenere i numeri di contagi e decessi al di sotto degli standard di altri Paesi.

Israele e la crisi politica

Uno scenario radicalmente cambiato nelle ultime settimane, tanto da spingere alcuni scienziati israeliani a parlare di “una crisi a portata di mano”. Il tutto mentre il clima politico resta caldo dalle parti di Tel Aviv. Il recente sondaggio di Israel ha-Yomh ha rivelato che quasi il 60% del popolo israeliano non ha fiducia nella gestione Netanyahu. Il che, di fatto, conferma il malcontento complessivo nei confronti di una politica priva di una stabilità governativa nonostante le tre chiamate al voto, non sufficienti a conferire una maggioranza tale (né a Netanyahu né al rivale del Blu e Bianco, Benny Gantz) da costituire un governo.

Doppio fronte

Ora, alla critica complessiva sulla gestione dell’emergenza, si aggiunge la nuova escalation di Covid, con 4.038 casi nelle scorse 24 ore e quasi 500 casi gravi. Una possibile nuova crisi che si affianca alla critica generale sull’andamento economico del Paese che, in base allo stesso sondaggio, scontenta più del 50% del Paese. Col paradosso del Likud di Netanyahu (che ha comunque messo a referto l’intesa con gli Emirati dello scorso agosto), che resta il partito con il maggior indice di gradimento. Altro indicatore di una crisi politica tutt’altro che attenuata dall’emergenza comune.