Prof. Mirabelli: “Il diritto alla vita deve essere protetto dallo Stato”

In occasione dei festeggiamenti per la nascita della Repubblica italiana In Terris ha dialogato con il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli. Che inoltre tra il 1986 e il 1990 è stato vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Giurista di fama nazionale, allievo del professor Pietro Gismondi che fu il primo rettore dell’Università Tor Vergata di Roma. Tra i vari incarichi occorre sottolineare la cattedra di diritto costituzionale presso la Pontificia Università Lateranense. Ricopre inoltre la carica di consigliere generale presso lo Stato della Città del Vaticano, il ruolo più elevato a cui un laico possa ambire nello Stato Pontificio. Il 76enne Mirabelli ha espresso il suo parere su numerose questioni di attualità: il rapporto tra l'Italia e l'Unione europea, la proposta di legge sulle autonomie e l’ordinanza della Consulta sul testamento biologico.  

Presidente Cesare Mirabelli, gli italiani non sono un popolo molto legato alla loro nazione. Secondo lei, negli ultimi anni questa situazione è migliorata o peggiorata?
“Sono dubbioso sulla premessa: non credo che gli italiani siano slegati alla loro nazione. Senza dubbio vi è un senso di appartenenza alle comunità più piccole – città e regioni – che sono il luogo della propria vita. Ma vi è anche un senso di appartenenza nazionale; non so se sia migliorato o peggiorato. D’altronde l’Italia come nazione è un’identità antica, come Stato unitario è una realtà storicamente recente. Solo alla fine dell’Ottocento, sotto il profilo istituzionale e politico, vi è stata l’unificazione nazionale”.

Dove devono cominciare le rispettive sovranità dell’Italia e dell’Unione europea?
“Non metterei in conflitto l’idea di patria e la comune civiltà europea. Del resto l’essere europei, per ciascuno di noi, si origina dalla stessa consapevolezza. Senza dubbio l’Unione europea è un’entità complessa, quindi anche i problemi di conseguenza lo sono. Direi che specialmente nell’ambito istituzionale vale il principio di sussidiarietà. Dunque i motivi di attrito vanno affrontati nel livello al quale possono essere adeguatamente fronteggiati e risolti. Penso, però, alla cultura che ha sempre avuto un ruolo centrale in Europa, basta guardare gli studenti che vanno in Erasmus: i ragazzi si sentono europei”.

Nel dibattito politico attuale si parla molto di autonomie. Il testo al vaglio del Parlamento è in contraddizione con l’unità della nazione prevista dalla Costituzione?
“Occorre fare riferimento al principio fondamentale che la Corte Costituzionale ha ritenuto espresso in una norma inderogabile: l’articolo 5. Che riconosce le autonomie locali, ma non le attribuisce. Partendo dal fatto che la Repubblica è unica e indivisibile, ci sono due pilastri: il rafforzamento delle autonomie ma al contempo l’unità e l’identità della Repubblica. Perciò non dovrebbe esserci conflitto tra questi valori. E non dovrebbe esserci contrasto nelle modalità di applicazione. Alla politica spetta il compito di verificare la giusta applicazione del regionalismo differenziato, perché con esso non si deve spaccare il Paese, né tantomeno favorire la diseguaglianza fra i cittadini. Infatti la stessa Costituzione parla di solidarietà. Va da sé che il principio autonomistico dovrebbe portare a una maggiore vicinanza nei luoghi di esercizio del potere, a una maggiore democraticità e a una maggiore possibilità di controllare l’uso della spesa pubblica. E’ vero che questo, spesso, non accade”.

Ritiene costituzionale la proposta di mettere le telecamere nelle scuole per controllare l’operato degli educatori?
“Gli ultimi episodi che si sono verificati hanno colpito l’opinione pubblica. Eppure questo occhio magico, di fatto un controllo permanente, è sinonimo di sfiducia nei confronti della gran parte degli operatori. Che credo lavorino con grande dedizione per la cura dei bambini e il sostegno degli anziani. E allora significa che manca professionalità, quindi è un problema di organizzazione più che di controllo. Per essere più chiari: non vorrei che ci sia un’eccedenza del mezzo rispetto al fine”.

Di recente è stata proposta una modifica dell’Ordine dei giornalisti. Anche alla luce di ciò ritiene l’articolo 21 della Costituzione ancora attuale?
“Ci sono vari fattori complessi da prendere in considerazione quando si parla di comunicazione. Quella giornalistica è un’attività professionale che implica responsabilità. Tutti vediamo come la circolazione di notizie false sia pericolosa. Per cui oltre al fatto che, a chiunque è consentito di esprimere il proprio pensiero con qualsiasi mezzo, ci deve essere un ambito della comunicazione che eserciti il controllo deontologico su chi opera nel settore. Perciò gli ordini professionali tout court non devono essere una barriera, ma garantire l’affidabilità dei professionisti che li compongono”.

La corte costituzionale ha chiesto una nuova legge sul testamento biologico. E’ possibile un dialogo con il mondo Cattolico?
“Bisogna intendersi perché da una parte la Corte Costituzionale ha detto che il diritto alla vita deve essere protetto dallo Stato, soprattutto nei confronti delle persone più deboli. Dall’altra i giudici hanno individuato anche alcune situazioni particolari, purché medicalmente accertate – persona affetta da malattia incurabile o tenuta in vita artificialmente e per la quale le cure palliative non sarebbero ritenute di sollievo – dove c’è più margine per la scelta dell’individuo. L’ordinanza della Corte esorta un intervento del legislatore sul codice penale, non l’organizzazione di un servizio di assistenza al suicidio”.