“Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”

«Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna»
«Operamĭni non cibum, qui perit, sed cibum, qui permănet in vitam aeternam»

Terza Settimana di Pasqua – Gv 6,22-29

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Il commento di Massimiliano Zupi

Come capita spesso nel Vangelo di Giovanni, il dialogo è giocato su un equivoco: la folla cerca Gesù nella speranza di trovare in lui chi le garantisca l’approvvigionamento di beni materiali; Gesù invece intende il pane che ha distribuito come segno di qualcos’altro, nello specifico di una relazione d’amore con lui e tra di noi. L’equivoco gli consente di avviare uno scambio di battute che sia occasione per educare i desideri profondi dei suoi interlocutori: si tratta di passare dalla fame di beni che periscono alla fame di vita eterna. In effetti, spendiamo il nostro tempo e le nostre energie per ciò che non dura: per conservare in salute, giovane e forte, un corpo comunque destinato alla corruzione; oppure per accumulare ricchezze che presto lasceremo ad altri; o ancora, per costruirci una fama ed un nome che passeranno dalla scena di questo mondo insieme con noi (1 Cor 7,31). Ma cosa dovremmo fare? C’è davvero un cibo che non perisce? Ora, è interessante che Gesù inviti la folla a darsi da fare per procacciarsi il pane per la vita eterna. Prontamente, i suoi ascoltatori si dimostrano disponibili ad impegnarsi a tale scopo: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (v.28). Tuttavia, subito appresso, Gesù spiega che l’opera di Dio è credere in colui che egli ha mandato: ma la fede non è un dono? In che senso dunque occorre darsi da fare per ottenerla? Del resto, la stessa vita eterna non è un’eredità (Mc 10,17)? Ciò che si eredita semplicemente si riceve: cos’altro si può fare se non attendere il tempo in cui, quel che è dovuto, ci verrà finalmente dato? La situazione ricorda quando Gesù, in prossimità della Pasqua, avrebbe detto ai suoi − inviati a Gerusalemme per trovare un luogo adatto per l’ultima cena − di una grande sala al piano superiore: «arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi» (Mc 14,15). Se la sala era già pronta, che senso aveva dire che bisognava prepararla? Cosa fare dunque per avere la fede che ci manca, o per crescere in quella che abbiamo? Cosa operare per fare esperienza che Cristo è veramente risorto e vivente? In effetti, c’è da darsi da fare: ascoltare e pregare assiduamente la Parola; partecipare al banchetto eucaristico; orientare costantemente la propria esistenza a cercare innanzitutto il regno di Dio, piuttosto che preoccuparsi di cosa mangeremo e di cosa vestiremo (Mt 6,25.33); avere come unico obiettivo quello di amare fino alla fine (Gv 13, 1) − con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze − Dio e il prossimo (Mc 12,30-31). Il pane, come la vita eterna, non dobbiamo farcelo da noi: tuttavia dobbiamo cercarlo. Quale pane perseguiamo dunque? Quello che perisce, o quello che dura in eterno? Quando ci alziamo al mattino e andiamo a letto la sera (Sal 127/126,2), verso cosa siamo protesi? A crescere nella relazione con lui? Ad amare, prima e più che ogni altra cosa? Gesù ci insegna non a trovare un altro pane, ma a vivere di tutti i pani quotidiani facendone un cibo che duri per la vita eterna: non comprando e mettendo da parte, bensì accogliendo tutto come dono e come dono tutto donando.