“Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti”

«Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento»
«Non veni solvĕre, sed adimplēre» 

X Settimana del Tempo Ordinario – Mt 5,17-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

Il commento di Massimiliano Zupi

Nell’epistolario paolino, uno dei temi più ricorrenti è l’opposizione tra vangelo e legge: la legge schiavizza, il vangelo libera; l’una dà morte, l’altra vita (Rm 7,4-6; 2 Cor 3,6). Nella pericope odierna, invece, Gesù sottolinea la loro complementarietà e rapporto di continuità: come mai una simile divergenza? La Legge, con tutti i suoi precetti, certo non dà la vita. Il giovane ricco ne è un esempio: egli ha osservato i comandamenti fin dalla sua giovinezza, ciò nondimeno non ha accesso alla gioia e alla vita eterna (Mt 19,20-22). Da una parte, l’osservanza della Legge è impossibile (Rm 7,7-24): chi ha il cuore così puro (Sal 14/ 13,3; Rm 3,23)? In chi non alberga il peccato, l’istinto egoistico, la tendenza a ripiegarsi su di sé? L’imperativo ad essere buoni e retti, in fondo, non fa che mettere in evidenza la nostra stortura e cattiveria.

Dall’altra parte, se uno riuscisse ad osservare davvero tutti i comandamenti, sarebbe paradossalmente ancora più lontano dal regno dei cieli: forte della propria perfezione, autosufficienza e virtù, sarebbe privo della comunione con Dio e con gli uomini. Se il punto di partenza è l’osservanza dei precetti, essi inchiodano ancora di più ad una solitudine infernale. Gesù non parte dalla Legge: egli piuttosto le dà compimento; essa cioè è il punto d’arrivo. L’origine del suo agire non è un desiderio di perfezione, di adeguazione ad un ideale, ad un dover-essere, bensì l’amore ricevuto dal Padre: egli ama perché amato. L’amore conduce ad osservare tutti i comandamenti: perché questi ultimi, nel loro insieme, sono la descrizione di cosa significhi concretamente amare. L’osservanza senza amore, invece, produce solo durezza: è stolta e finisce con l’uccidere la persona in nome della norma. L’amore nei fatti e nella verità (1 Gv 3,18), al contrario, quello insomma né solo a parole né privo di intelligenza e discernimento, compie la Legge in pienezza, senza tralasciarne un solo iota o trattino.