“Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato”

«Non sono venuto da me stesso»
«A meipso non veni»

Quarta Settimana di Quaresima – Venerdì – Gv 7,1-2.10.25-30

In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. […] Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi  di nascosto. […]

Alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia». Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato».

Cercarono allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora.

Il commento di Massimiliano Zupi

Quale sentimento di meraviglia avrà albergato nel cuore di Maria nel sapere che quel bambino, suo figlio, che aveva sotto gli occhi tutti i giorni, era nondimeno il Figlio di Dio?! Quanto sarà stato più difficile ancora per i parenti e conoscenti accettare che quell’uomo, cresciuto e vissuto in mezzo a loro per trent’anni a Nàzaret, fosse il Messia atteso? Forse oggi corriamo il pericolo opposto: dimenticare che colui che adoriamo come Signore è stato anche vero uomo, fanciullo prima e falegname poi in Galilea.

Eppure Nàzaret non è la sua verità profonda, il suo vero volto: egli viene da altrove, da Dio, dal cielo. Nei sinottici, lo rivela quando si trasfigura; invano chiede che rimanga segreto, quando compie prodigi e segni; in maniera più intima lo manifesta di notte, quando prega, rivolgendosi a Dio con il nome di «Abbà», «Padre» (Mc 14,36). Ma tutto questo non varrà anche per le persone che ci stanno vicino? Siamo convinti di conoscerle bene: sappiamo la loro storia, da dove provengono, la loro famiglia; ne apprezziamo pregi e virtù, ne stigmatizziamo difetti e vizi: quanto facilmente inchiodiamo le persone ai loro limiti! Ma siamo certi che quello che conosciamo sia il loro vero volto, la loro verità? Come per Gesù, la loro origine è altrove! Certo, spesso la loro autentica identità è nascosta innanzitutto a loro stessi. Ciò non toglie però che essi siano nondimeno figli del Padre: il cielo è la loro origine e la loro destinazione. Avere fede è un’educazione ad aprire il cuore sulla realtà non solo di Gesù, ma anche di ogni prossimo: significa imparare a guardare i nostri vicini e parenti con il loro volto trasfigurato, avendo presente quel che sono chiamati a diventare, ricordando la loro identità profonda. È il modo con cui Dio ci guarda: sguardo d’amore, pieno di grazia, capace di far fiorire quel che pure al momento può sembrare solo un deserto (Is 35,6-7).