“E’ bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito”

«È bene per voi che io me ne vada»
«Expĕdit vobis, ut ego vadam»

Sesta Settimana di Pasqua – Gv 16,5-11 

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi. E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato». 

Il commento di Massimiliano Zupi

Di fronte alla morte di Gesù, i discepoli sono pieni di tristezza: è chi non lo sarebbe? Proprio come i parenti ed i conoscenti di fronte alla tomba di Lazzaro (Gv 11,33); come ciascuno di noi di fronte ad un lutto. La morte, forse quella di chi amiamo più ancora che la nostra, è in assoluto ciò che temiamo maggiormente. Ora, Gesù, per sé stesso e per i suoi discepoli, non si augura certo la morte, la persecuzione o la malattia. Tuttavia, quando arriva il loro momento, egli è consapevole che paradossalmente, vissute come oblazione, si tratta della via che conduce alla vita. La morte, come pure ogni persecuzione e malattia, non sono da ricercare né da desiderare; tuttavia, quando arrivano, sono un dono prezioso.

Come il chicco di grano, morendo, produce la spiga (Gv 12,24), così anche noi, morendo, entriamo nella vita di Dio: morendo torniamo al Padre che ci ha creati (Gv 16, 28), certo; ma ancora di più, morendo a noi stessi entriamo nella forma e nel ritmo della vita di Dio: sperimentiamo in noi stessi la realtà della vita eterna, che è reciprocità di vita ricevuta in dono e donata; riceviamo lo Spirito Santo: il respiro di Dio, alternanza dell’inspirare e dell’espirare, del prendere e del donare. Così è vinto il peccato: credere in Gesù significa non dover contare più solo su noi stessi, o su chi comunque è indigente non meno di noi, bensì su un Dio affidabile; la morte non è più il limite estremo che annulla tutto, ma un abbraccio che restituisce il respiro. Così è fatta giustizia: la vita fiorisce non stringendo il pugno, non trattenendo né possedendo, bensì consegnandosi nelle mani di Colui dal quale proveniamo e che è la nostra vera patria. Così è manifestata la verità: comanda chi si fa servo, è signore chi si fa schiavo, ha la vita chi dona la propria vita.