“Credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me”

«Credete alle opere»
«Operĭbus credĭte»

Quinta Settimana di Quaresima – Venerdì – Gv 10,31-42

In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre; per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi (Sal 82/81,6)? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio − e la Scrittura non può essere annullata −, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.

Il commento di Massimiliano Zupi

Le opere di cui parla Gesù sono quelle del Padre, ovvero di Dio. Quali sono precisamente? Sono i segni compiuti nel corso del Quarto Vangelo. Il primo è stato quello dell’acqua trasformata in vino (Gv 2,9): Gesù porta la gioia, propria di chi si sente amato. Il secondo è quello della guarigione del figlio del funzionario del re, malato a morte (Gv 4,53): Gesù diffonde energie vitali, voglia di vivere. Il terzo è il ristabilimento del paralitico presso la porta delle Pecore (Gv 5,9): Gesù dona la capacità di reggersi sulle proprie gambe e di camminare, di essere sé stessi e di fare opere belle. Il quarto è la moltiplicazione dei pani (Gv 6,12-13): Gesù sazia la fame che siamo, è la sorgente d’acqua che ci disseta, capace di far sgorgare da noi stessi un’acqua zampillante (Gv 4,14; 6,35; 7,37- 38). Il quinto è Gesù che cammina sul mare in tempesta (Gv 6,19): egli domina i venti contrari che vorrebbero arrestarci, le forze oscure che tentano di schiavizzarci ed affondarci. Il sesto (l’ultimo fino al capitolo decimo del Vangelo di oggi: nel capitolo undicesimo, poi, sarà narrato il settimo ed ultimo segno, la resurrezione di Lazzaro) è la guarigione del cieco nato (Gv 9,7): Gesù è il sole che sorgendo infonde coraggio e fiducia, è la luce che rischiara lo sguardo e fa vedere il mondo, gli altri e sé stessi con gli occhi di Dio.

Se queste sono le opere che Gesù compie, non c’è da stupirsi che si dica che molti lo seguissero. Ora, però, queste opere possiamo compierle anche noi, nella misura in cui
diventiamo ciò che egli è: figli di Dio. Il divenire, certo, a differenza dell’essere, comporta un cammino di approssimazione, un progresso, con cadute e passi indietro. Ma appunto deve potersi riscontrare una crescita: se pure non c’è pienezza di conformità, tuttavia devono esserci dei segni di somiglianza. Tracce, imperfette ma evidenti, di gioia, di energia, di fertilità, di forza contro il male, di acqua sorgiva, di luce. Se questi segnali chiari non ci sono in noi, è perché c’è ancora qualche ricchezza che ci impedisce di andare (Mc 10,22), qualche idolo che ci paralizza: occorre chiedere allora intelligenza per riconoscerli e libertà per combatterli. Perché noi tutti siamo chiamati a diventare santi, come lui è santo (Lv 19,2; 1 Pt 1,16).