Reddito di cittadinanza: il flop finlandese

Il “reddito di cittadinanza” è un’idea suggestiva, lanciata nell’immaginario collettivo in Italia dal Movimento 5 Stelle che ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia.

L’obiettivo del progetto, nobile senz’altro, è quello di arginare l’impoverimento dei ceti più bassi della popolazione dello Stato immaginando un sistema di sussidio universale che possa da un lato sostenere i redditi delle famiglie in caso di disoccupazione o di reddito insufficiente e dall’altro andare a creare una sorta di salario floor su cui parametrare le remunerazioni dei lavoratori che, per evitare un effetto sostituzione, dovrebbero crescere a livelli ben superiori alle somme elargite a livello di sussidio.

Non è, in effetti, un minimum wage come presente in altri stati come Usa o Francia (lo Smic, per intenderci) ma una forma di integrazione al reddito che andrebbe a sostenere le finanze di tutte le famiglie e, come tale, è stato propagandato come “un’iniziativa per i diritti e per la dignità di tutti i cittadini” per usare le stesse parole di Beppe Grillo.

Nonostante la pretesa che questo esista già in buona parte d’Europa la verità è che un esperimento di questo tipo non sia mai stato fatto da nessuna parte, prima dello scorso anno, e che non possa essere confuso con la rete diffusa di sussidi che esiste, invece, in diversi stati, come Germania e l’Olanda.

Perché “prima dello scorso anno”? Perché nel 2017 la Finlandia ha implementato una sperimentazione, limitata su 2.000 soggetti volontari disoccupati, per verificare la fattibilità e la convenienza dell’introduzione di un sussidio universale di 560 euro al mese che sarebbero stati detratti dagli altri sussidi percepiti ma che, oggi, ha visto la sua conclusione con la decisione di sospendere l’iniziativa con la fine di quest’anno.

I dati ufficiali saranno diffusi solo nel 2019 ma le dichiarazioni degli esponenti di Governo non lasciano spazio a dubbi sul fallimento dell’esperimento.

Business Insider riporta che, secondo il governo finlandese, i sussidi previsti erano così alti e il sistema di welfare così rigido che un disoccupato non avrebbe avuto convenienza nel cercare un lavoro finché avrebbe percepito un reddito di cittadinanza. Già lo scorso dicembre, infatti, il Parlamento finnico approvò una prima stretta al sistema che condizionava il mantenimento degli assegni a un'attività lavorativa pari ad almeno 18 ore ogni tre mesi ma sembrerebbe che, nonostante questo, i risultati sperati non siano giunti.

Da qui la decisione di cancellare il programma mettendo, di fatto, una seria ipoteca sulla proposta del Movimento 5 Stelle e sulle coperture e gli effetti positivi ipotizzati.

Questo fallimento, però, potrebbe avere forse dei risvolti positivi perché potrebbe mettere al centro del discorso non l’estensione di un sussidio universale ma, piuttosto la fluidificazione del mercato del lavoro, eliminando le barriere di accesso e agevolando i cittadini, anche con il sostegno temporaneo al reddito, nel cambio d'impiego o nella riconversione professionale.

I sostenitori italici del reddito di cittadinanza stimano che possa costare intorno ai 16 miliardi d’euro (sempre che la stima sia esatta, cosa su cui nutro seri dubbi visto che, spannometricamente, dovrebbe essere almeno doppia per sussidiare disoccupati e pensionati al minimo), che sarebbero posti a carico dell’Erario e che quei fondi possono essere trovati dalla lotta all’evasione fiscale o dall’aumento della tassazione sul gioco d’azzardo, ad esempio. Ammesso e non concesso che si possano ancora trovare fondi dalla lotta all’evasione, questi si configurerebbero come un introito una tantum, non strutturale, che non può essere previsto a copertura di qualsivoglia istituto con respiro pluriennale. Così come difficilmente sarebbe possibile aumentare la pressione fiscale su un settore, quello dei giochi, in cui già lo Stato è il maggior beneficiario degli introiti.

Da qui alla previsione che un eventuale reddito di cittadinanza si trasformi in un nuovo inasprimento fiscale verso la popolazione, il passo è breve.

Solo questi calcoli e la “marcia indietro” della Finlandia potrebbero suonare come un de profundis per l’affascinante proposta elettorale pentastellata e dovrebbero spingere per lanciare delle soluzioni alternative valide e non distorsive dei mercati come il taglio d’ogni imposizione fiscale sul lavoro, la “decontribuzione” dei nuovi assunti e la riforma principe del settore che riguarda ammortizzatori sociali, eliminando la Cassa Integrazione Guadagni per spostare la tutela al reddito anziché al posto di lavoro creando un sussidio di disoccupazione universale, proporzionato al reddito precedente e decrescente nel corso dei 18 mesi seguenti fino all’azzeramento.

La fine del sogno del reddito di cittadinanza deve portare alla consapevolezza che per poter ridistribuire la ricchezza, questa va prima prodotta, e non c’è modo migliore per aumentare il benessere della società che stimolare investimenti produttivi e lavoro. Cosa che può avvenire solo con un sistema-Paese più snello e meno costoso.