L’inesistente “complotto” di Big Pharma

Negli ultimi mesi non c’è persona in Italia che non si sia scontrato in una qualche discussione sui vaccini, benché minoritario, il fronte antivaccinista è diventato con il tempo assai rumoroso e le recenti radiazioni dall’ordine dei medici di alcuni dei principali sostenitori dell’utilità dubbia dei vaccini ha reso la cosa ancor più manifesta.

La paura relativa non all’inefficacia ma, addirittura, alla dannosità dei vaccini nasce, principalmente, con uno studio pubblicato su una prestigiosa rivista medica, il Lancet, negli anni ’90 dove si metteva in correlazione la somministrazione del Mpr con l’insorgere dell’autismo.

Inutili sono state tutte le prove che il mondo scientifico ha apportato in seguito, così come inutile è stato il ritiro della pubblicazione e la radiazione dall’ordine dei medici britannici dell’autore poiché il dubbio e la paura di eventuali reazioni avverse all’uso dei farmaci (che esistono, sia chiaro, anche se in percentuale marginale) si insinuasse nella mente di molti individui che, anche spinti da alcuni scandali legati alla corruzione di pubblici ufficiali e di politici, hanno portato al mito, perché di questo si tratta, relativo a un complotto da parte delle principali case farmaceutiche per somministrare farmaci obbligatoriamente e gonfiare, così, i loro fatturati.

In questa sede, ovviamente, non si vuol discutere del lato medicale dei programmi vaccinali, cosa che sarebbe bene lasciare a chi studiasse la materia professionalmente, ma a livello economico qualche appunto all’idea di un eventuale trust delle aziende del farmaco e della loro presunta azione volta alla vendita dei vaccini sarebbe interessante apportarlo, sia per permettere una disclosure sulla effettiva forza della cosiddetta Big Pharma sia per dare qualche spunto di riflessione a tutti.

Iniziamo dal concetto di Big Pharma. Dietro questo termine i sostenitori del trust indicano le più grosse compagnie farmaceutiche del mondo che si sarebbero consorziate per spingere i governi ad adottare delle precise campagne farmacologiche obbligatorie (superfluo sottolineare che vengano considerare parimenti inutili e, perché no, dannose) per spingere fatturati e quotazioni in borsa.

Proprio, però, dagli aspetti economici che, come spesso succede quando si parli di numeri e bilanci, sembrano sconosciuti ai più l’ipotesi complottista vede la sua fallacia.

Le prime dieci aziende al mondo (si parla di colossi come Johnson&Johnson, Roche, Pfizer, Novartis, Bayer, Sanofi, Merck, GlaxoSmithKline, AbbVie e Gilead Science, nomi che sicuramente sono diventati noti alla maggioranza delle persone tramite i media) in aggregato hanno fatturato nel 2016 meno di 416 miliardi di dollari mentre, per fare un paragone, Wal-Mart, una delle principali catene di supermercati al mondo, incassa da sola, lo stesso anno, più di 485 miliardi.

Sì, un supermercato incassa da solo il 116% rispetto a tutte le prime dieci compagnie farmaceutiche al mondo, già solo questo dovrebbe far pensare sulla fondatezza dell’ipotesi di un sistema di multinazionali del farmaco onnipotenti o quasi.

Prendendo, poi, il campo vaccinale stando ad Aifa l’Italia spende all’anno circa 318 milioni di euro per le campagne vaccinali, pari al 1,4% della spesa sanitaria mentre in aggregato gli introiti per i vaccini si aggirano intorno ai 32 miliardi di dollari, cioè il 7,7% dei fatturati, non certo una quota che possa far pensare al settore come un core business.

Un dato che stupisce?

In realtà no, poiché circa l’80% dei vaccini è destinato al terzo mondo con ritorni bassissimi visto che, ad esempio, la profilassi anti morbillo può costare circa un dollaro a dose mentre quello contro il meningococco la metà.

I prezzi, ovviamente, sono diversificati per zona di vendita e sono più pesanti nei paesi più sviluppati rispetto a quelli in via di sviluppo anche per coprire i costi di ricerca che sono ingenti, pensando che per un farmaco occorrano mediamente tra i 10 e i 12 anni di studio e sviluppo e che il tempo utile per la commercializzazione e la copertura dei costi sia inferiore ai 10 anni prima che il brevetto, non rinnovabile, scada dopo venti anni dalla registrazione.

Bisogna aggiungere, poi, che mediamente solo un farmaco su 10.000 supera i trials e può essere messo sul mercato, spingendo ancora più verso l’alto i costi che devono essere ammortizzati e che spingono il margine di profitto globale ed aggregato di tutto il settore a circa il 3,21% (come ha indicato Forbes)

Se, poi, uno facesse caso agli investimenti attuali il 26% sono indirizzati verso farmaci e terapie antitumorali e il 19% verso farmaci a prevenzione e cura dei problemi neurologici; a fronte di questi numeri, a cui si potrebbe aggiungere che il grosso degli introiti provenga dai farmaci anti acido (come l’Alka Seltzer) o dai FANS (gli antiinfiammatori non steroidei come l’ibuprofene), qualcuno riesce ancora a parlare di complotto di Big Pharma sui vaccini?