Festival Giornalismo d'inchiesta: premiato don Aldo Buonaiuto

Èdon Aldo Buonaiuto, sacerdote di frontiera dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e direttore del quotidiano digitale In Terris il vincitore del Premio giornalismo d'inchiesta, lo speciale riconoscimento che viene conferito a personalità che si sono distinte per il loro contributo sociale nel mondo dell'informazione. Stavolta, accanto ai precedenti, autorevoli premi assegnati a firme quali Emiliano Fittipaldi de L'Espresso e Sigfrido Ranucci di Report, sarà la volta del sacerdote che ha fatto dell'impegno sociale la sua vocazione primaria. Seguendo le orme spirituali di don Oreste Benzi, il riconoscimento al sacerdote simbolo della “lotta alla tratta della prostituzione” ha il sapore di una presa di consapevolezza da parte dell'opinione pubblica, di un problema endemico, quello che lo stesso don Aldo definisce senza remore “piaga della prostituzione”.

Un impegno corale

Don Aldo Buonaiuto è, infatti, impegnato in prima linea nell'inferno in cui versano le ragazze costrette a prostituirsi: “Tutto ciò ha cambiato irreversibilmente il mio modo di sperimentare e condividere la fede” spiega il sacerdote, ricordando le fiaccolate per le strade della tratta al fianco di don Oreste Benzi. Ma la sua azione non si esaurisce nell'esperienza imprescindibile della preghiera. La sua dedizione alla causa lo ha spinto, infatti, all'informazione. È nato così il libro “Donne crocifisse”(Rubbettino) con la prefazione di Papa Francesco, che ha ottenuto il grato beneplacito dello stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sensibile al problema tanto da dedicare alle donne vittime della prostituzione coatta la giornata dello scorso otto marzo. L'urlo delle donne a cui don Aldo dà voce prende la forma dell'appello alle istituzioni. Secondo il sacerdote, infatti, tanto si deve fare non solo per arrestare il fenomeno, ma soprattutto per squarciare il velo dell'ipocrisia in cui spesso verso la nostra società.  

Il valore del giornalismo d'inchiesta

Per l'occasione, In Terris ha intervistato Gianni Rossetti, direttore del Festival Giornalismo d'Inchiesta, inviato ventennale Rai, vicecaporedattore al quotidiano Il Resto del Carlino, ex-presidente dell'Ordine dei Giornalisti, direttore e docente decennale della Scuola di Giornalismo di Urbino.

Dott. Rossetti, quali motivazioni alla base del riconoscimento a don Aldo Buonaiuto?
“Abbiamo voluto premiare don Aldo Buonaiuto per il lavoro che egli svolge. Il Festival non rappresenta riduttivamente la ricerca della verità: è la legalità, il rispetto della verità e la giustizia. Noi abbiamo ritenuto che don Aldo, con il suo lodevole lavoro, s'innesti in tali valori, riempiendoli di contenuti importanti che il Festival ha voluto esaltare. La solidarietà, il rispetto degli altri è uno dei fondamenti. Al di là del Premio, la scelta è ricaduta su don Aldo perché offre l'occasione per discutere di questi temi e valori che dovrebbero essere fondamento della nostra società ma che, invece, si stanno affievolendo”.

Come è nato il premio giornalismo d'inchiesta?
“Si tratta di un'iniziativa nata otto anni fa, allora nota come I contemporanei, che era organizzata da due associazioni culturali giovanili di Osimo che chiamavano gli autori alla presentazione dei libri. Da quest'iniziativa, che aveva avuto particolare successo, è nata quest'idea di trasformarla in un festival dedicato al giornalismo d'inchiesta. Da otto anni invitiamo personaggi che lavorano in tale settore”.

Cosa significa fare giornalismo d'inchiesta?
“Giornalismo d'inchiesta significa la ricerca della verità, ma anche la legalità, la giustizia e il senso civico. Sono questi sono i valori sui quali si batte il Festival e che don Aldo, lo ripeto, rappresenta egregiamente”.

C'è stata un'evoluzione del giornalismo d'inchiesta?
“Il digitale ha radicalmente trasformato la professione giornalistica. Non possiamo dire, però, che il digitale abbia contribuito allo sviluppo del giornalismo d'inchiesta, purtroppo oggi sempre meno praticato. Persistono degli esempi ottimi, però nei giornali la riduzione drastica del personale, il contenimento dei costi e le scelte editoriali hanno portato a una riduzione sensibile del giornalismo d'inchiesta”.

Il giornalista che fa inchiesta, dunque, è cambiato?
“Una volta il giornalista faceva da tramite fra il lettore e le fonti di informazione. Oggi, con i nuovi strumenti, vediamo sempre più il salto di questo passaggio. Si guardi all'ambito politico: la fonte si rivolge direttamente, attraverso i social, all'utente che è anche lettore e ascoltatore. Il giornalismo d'inchiesta serba un forte valore ancora oggi, però nei giornali è sempre meno pratico per le ragioni che ho esposto prima. I giornalisti più anziani sono andati in pensione e, con essi, la memoria storica degli eventi italiani, per cui si assiste all'arrivo dei giovani, che questa memoria non ce l'hanno”.

Che cosa possono fare le istituzioni per salvare questa memoria?
“Anzitutto, bisogna credere nel giornalismo, che rimane fra gli elementi fondamentali di una società democratica. Ciò che tocca fare oggi è credere nella forza del giornalismo e lavorare sulla formazione. Le scuole di giornalismo devono impegnarsi a formare una nuova classe di giornalisti che sia all'altezza dei nuovi compiti e delle nuove esigenze che la società richiede”. 

Che ruolo ha l'Ordine dei giornalisti oggi?
“Io credo che l'Ordine resti uno strumento fondamentale, soprattutto al servizio dei più deboli. Oggi il giornalista è sempre meno garantito sotto ogni aspetto, anche economico. Oggi quando un ragazzo, che si avvicina al giornalismo, guadagna tra i 600 e gli 800 euro al mese e ha tutte le spese a suo carico, dal telefono alla macchina, difficilmente può essere libero. L'Ordine deve continuare a tutelare l'articolo 2 della legge n. 69 del 1963, cioè del diritto insopprimibile del giornalista alla libertà d'informazione e di critica come dovere inderogabile nel rispetto della verità sostanziale dei fatti. Questo è l'elemento base su cui si fonda l'Ordine e l'Ordine deve continuare a garantirlo. Se togliessimo l'Ordine, diventeremmo tanti impiegati in mano agli editori”.

E il digitale, che ruolo ha?
“Il digitale ha semplificato il lavoro giornalistico. Se si pensa che con un sito non c'è più bisogno di stampare un giornale e venderlo nelle edicole, riducendone i costi, questo ha reso l'attività accessibile a tante persone. Però, la dequalificazione professionale che ne è scaturita è gigantesca e questo porta inevitabilmente a una perdita di credibilità del giornalista. Ciò si riflette su un lettore che non fa più distinzioni. Si dice che il giornalismo è malato e qui l'Ordine deve fungere da presidio di autorevolezza, da garanzia per i più deboli”.

Cosa ne pensa, invece, dei talk show televisivi?
“Il giornalismo d'inchiesta parte da un fatto ma non sa dove arriva. Si ragiona, cioè, sui fatti. Spesso il giornalismo televisivo, al contrario, ragiona a tesi: parte, cioè, da una posizione e cerca di organizzare il dibattito, le domande, i servizi a corredo per arrivare a dimostrare la tesi di partenza. Il contrario del giornalismo d'inchiesta, appunto”.