Vita da riders

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Superare la mera logica del cottimo, estendere il welfare contrattuale, le maggiorazioni salariali, il diritto alle ferie, alla malattia, al Tfr e a tutte le altre protezioni che solo un vero contratto può riconoscere. Sono queste le condizioni necessarie per salvaguardare una categoria estremamente etorogena come quella dei riders. E' quanto ha dichiarato in un'intervista a In Terris Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto della Cisl. Le condizioni lavorative dei riders sono da tempo sotto gli occhi di tutti. In motorino o bicicletta percorrono chilometri per consegnare quanto il cliente ha ordinato – quasi sempre – tramite un'app. Nei giorni scorsi, su questa categoria lavoratica si sono accessi i riflettori in seguito alla pronuncia della Corte di Cassazione contro Foodora. Infatti, la Suprema corte ha respinto il ricorso dell'azienda contro la sentenza con cui la Corte d'appello di Torino aveva riconosciuto a 5 ex rider parità economica rispetto ai lavoratori subordinati del settore della logistica, con tredicesima, ferie e malattie pagate. “Al verificarsi delle caratteristichedelle collaborazioni” individuate nell'articolo 2, comma 1, del Jobs Act, “la legge ricollega imperativamente l'applicazione della disciplina della subordinazione”, si legge nella sentenza depositata. “Non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell'autonomia – osserva la Suprema Corte – perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l'ordinamento ha statuito espressamente l'applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina“. In Terris ha approfondito la questione riders con il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra. 

In bici o in motorino, con la neve o con il caldo, i riders lavorano per pochi euro al giorno. Sono oggi la categoria di lavoratori più svantaggiata?
“Di sicuro è quella più esposta al rischio deregolamentazione, come tutta la gig-economy, che sta rivoluzionando l’organizzazione del lavoro. Quella dei riders è una categoria estremamente eterogenea, in cui coesistono situazioni e necessità molto diverse. C’è chi lavora in modo discontinuo o nei week-end per pagarsi l’università o integrare un salario, e chi invece si impegna a tempo pieno per portare avanti una famiglia, per non parlare di chi è stretto nella morsa del vero e proprio caporalato digitale. Situazioni che richiedono tutele e strumenti di intervento specifici, sia di natura legislativa che contrattuale. Istituzioni e Parti sociali devono operare insieme per tessere, intorno a queste persone, una rete di tutele che coniughi salari adeguati e diritti esigibili, legalità e trasparenza, welfare e buona flessibilità. Il sindacato confederale è sul pezzo da tempo: già a dicembre del 2017 le nostre Federazioni dei Trasporti hanno inserito nel Contratto della Logistica una parte dedicata ai ciclo-fattorini, che tiene conto della grande varietà di bisogni e aspettative presenti in questo segmento”.

Una pronuncia della Cassazione di qualche giorno fa ha stabilito che i riders devono avere le stesse tutele dei dipendenti, condivide la decisione?
“Non solo condividiamo, ma abbiamo lavorato e lavoriamo fattivamente per arrivare a questo risultato. La giurisprudenza conferma oggi i contenuti di una normativa appena riformata proprio grazie alla spinta del sindacato confederale. La nuova legge riconduce le false collaborazioni al lavoro dipendente, stabilendo che quando la prestazione ha carattere esclusivamente personale ed è svolta in maniera continuativa, è in tutto e per tutto associabile a lavoro subordinato. E questo sia sotto il profilo retributivo che normativo. Un passo fondamentale, che ora richiede la copertura di un ultimo miglio: l’applicazione a tutti i riders del contratto della Logistica a cui prima facevo riferimento. Vanno collegate le retribuzioni a quelle tabelle, va superata la mera logica del cottimo, va esteso il welfare contrattuale, le maggiorazioni salariali, il diritto alle ferie, alla malattia e al Tfr… insieme a tutte le altre protezioni che solo un vero contratto può riconoscere”.

Che cosa si può fare per tutelare maggiormente questa categoria di lavoratori?
“Bisogna estendere i contratti collettivi di riferimento attivando tutti gli istituti normativi, assistenziali e previdenziali. È poi prioritario affrontare alcuni aspetti operativi, a cominciare dalla trasparenza degli algoritmi decisionali delle piattaforme, dal riconoscimento del diritto alla disconnessione, alla privacy, alla non discriminazione e all'associazione sindacale. Vanno censite le aziende che operano sui territori e assicurata la massima trasparenza ed equità di ‘app’ che non sono videogiochi, ma piattaforme che regolano nei fatti l’organizzazione del lavoro. Per questo chiediamo di insediare subito presso il Ministero del lavoro un Osservatorio ad hoc e di istituire presso il Ministero dello Sviluppo l’albo di tutte le piattaforme digitali. Diritti e tutele vanno resi esigibili non solo nel food-delivery ma anche in tutti gli altri lavori digitali, che in Italia occupano centinaia di migliaia di persone tra autisti, badanti, addetti ai servizi domestici, solo per fare alcuni esempi. Passi indispensabili se vogliamo dare certezza e regolarità, anche fiscale e contributiva, a queste forme di lavoro”.

Dietro ai riders, ci sono spesso giovani, stranieri o persone che hanno perso il lavoro dopo anni e che fanno difficoltà a trovare un nuovo impiego… quali alternative si possono offrire a queste persone?
“La gig-economy non va demonizzata, e in molti casi va incontro a una precisa richiesta di flessibilità da parte del lavoratore. Ma è anche vero che in tanti non hanno la possibilità di scegliere. Il sentiero della contrattazione, della bilateralità, della condivisione e della partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali è in ogni caso – anche per le collaborazioni genuinamente autonome – il migliore per contrastare il vero nemico insito in questa tecnologia, che è l’isolamento della persona. Il tema delle alternative però chiama in causa soprattutto la responsabilità del potere pubblico di avviare politiche occupazionali vere. Servono investimenti adeguati, che stimolino occupazione di qualità e attivino strumenti capaci di riqualificare e riallocare le persone. In assenza di queste politiche il lavoro non si riscatta, con effetti deleteri su tutta la nostra economia”.