Via D'Amelio, cosa è Stato?

E'la prima volta, dopo ventisei lunghissimi anni, che della strage di Via D'Amelio si parla come di un depistaggio di Stato. Una sentenza, quella della Corte d'Assise di Caltanissetta, che potremmo definire storica se non fosse per il fatto che, anziché dissipare nubi sulla morte del giudice Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta, aggiunge ulteriori elementi di discussione e nuove inquietanti domande. Anzi, forse non del tutto nuove ma ora ufficialmente da porre a quanti di competenza nel settore. Ad esempio, perché il falso pentito Vincenzo Scarantino fu spinto a mentire sul massacro di Palermo? Se lo è chiesto, a maggior ragione, anche Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato e, ora, in attesa di conoscere ulteriori dettagli sulle incongruenze emerse durante l'inchiesta del pool che indagò sulla strage all'epoca dei fatti: 13 domande, inviate in una missiva a 'Repubblica' e sintesi di tutti i dubbi emersi negli ultimi 26 anni.

Tredici punti

Fiammetta Borsellino fa diversi nomi e cognomi. Tira in ballo i giudici di allora, gli investigatori, chiede e si chiede cosa altro c'è ancora da sapere, quanto fu tenuto nascosto nel 1992 e dopo, negli anni a seguire, fino all'1 luglio scorso, giorno in cui nelle motivazioni del Borsellino quater i giudici di Caltanissetta hanno usato la parola 'depistaggio'. Un caso riaperto, se mai si fosse chiuso, dal quale ci si attende finalmente qualche risposta: “Sono passati 26 anni dalla morte di mio padre – ha scritto l'ultimogenita del magistrato -, Paolo Borsellino, ucciso a Palermo insieme ai poliziotti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina. E, ancora, aspettiamo delle risposte da uomini delle istituzioni e non solo. Ci sono domande – le domande che io e miei fratelli Manfredi e Lucia non smetteremo di ripetere – che non possono essere rimosse dall’indifferenza o da colpevoli disattenzioni. Domande su un depistaggio iniziato nel 1992, ordito da vertici investigativi ed accettato da schiere di giudici”.

Ventisei anni dopo…

Dalla mancata preservazione di Via D'Amelio immediatamente dopo la strage, circostanza che consentì a chiunque potenzialmente di avvicinarsi e che, secondo Fiammetta, permise a qualcuno di appropriarsi dell'agenda rossa di suo padre, fino all'affidamento di Scarantino al gruppo di La Barbera anziché al servizio centrale di protezione “senza alcuna richiesta e autorizzazione da parte della magistratura competente”… Quasi trent'anni di storia giudiziaria ai quali rendere conto ormai consapevoli, leggendo la sentenza di Caltanissetta, che gli eventi che seguirono al 19 luglio del 1992, subirono influenze da parte di “soggetti inseriti negli apparati dello Stato” sui quali “è lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite”. Chi volle coprire cosa, come e in che misura le indagini furono ostacolate da coloro che avrebbero dovuto perseguire la giustizia e salvaguardare la dignità, oltre che il valore, del lavoro per il quale il giudice Borsellino sacrificò la sua vita, ma anche perché fu scelto un pool di magistrati quasi del tutto estranei alle inchieste di mafia… Tutto in 13 punti.

Un'eredità da preservare

Ma, al di là delle varie considerazioni possibili, la sentenza della Corte d'Assise di Caltanissetta ha certamente aperto un fronte d'indagine che offre un'importante opportunità per ricostruire in modo finalmente veritiero gli eventi che precedettero e seguirono l'esplosione del mix di tritolo, T4 e Petn al civico 21 della strada palermitana. Se le vite di Borsellino e della sua scorta, come accaduto due mesi prima a Falcone, sua moglie e i loro agenti, vennero spente sotto la colonna di fumo nero che dall'asfalto rovente di luglio si alzò verso il cielo di Palermo, è anche vero che i frutti del loro operato contro le organizzazioni criminali aveva già dato un forte impulso a una presa di coscienza collettiva della realtà delle cose. Una realtà palesata in modo atroce con due attentati che, nell'arco di meno di 60 giorni, spazzarono via due le figure di maggior rilievo nell'ambito della giustizia italiana, ponendo il sistema giudiziario del nostro Paese davanti alla sfida probabilmente più difficile dagli anni del terrorismo e dell'eversione: mantenere credibilità davanti al guanto di sfida lanciato da Cosa nostra.

Domande cruciali

Anche per questo, buona parte del dossier di Fiammetta Borsellino è stato incentrato sulle continue ritrattazioni di Scarantino e sul perché non venne fatto un adeguato approfondimento sulle diverse versioni fornite: “Perché – si chiede al punto 8 – i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell'inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l'unica versione?”. E ancora, al punto 9: “Perché la pm Ilda Boccassini (che partecipò alle prime indagini, fra il giugno e l'ottobre 1994), firmataria insieme al pm Sajeva di due durissime lettere nelle quali prendeva le distanze dai colleghi che continuavano a credere a Scarantino, autorizzò la polizia a fare dieci colloqui investigativi con Scarantino dopo l'inizio della sua collaborazione con la giustizia?”.

Nuove indagini

Una sola domanda, invece, sulla cosiddetta “agenda rossa”, il libro di appunti che Borsellino aveva con sé al momento della sua morte e scomparso fra i resti dell'auto sulla quale viaggiava. Un solo quesito ma è nei primi tre: “Perché via D'Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione dell'agenda rossa di mio padre? E perché l'ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?”. Il riferimento è alla controversa vicenda riguardante la borsa del giudice, all'interno della quale si presume l'agenda fosse contenuta e che, immortalato in una famosa fotografia, un capitano della Polizia portò via dalla scena del delitto. Sul destino del libretto si è discusso a lungo, dalle ipotesi di un furto a quella della distruzione dovuta alle fiamme dell'esplosione poiché, secondo una delle numerose ricostruzioni avanzate, il giudice avrebbe anche potuto averla in mano. Nella nuova indagine andrà discusso anche questo: ci sono 26 anni di storia da ripercorrere, fascicoli e inchieste sui quali ragionare con una prospettiva del tutto diversa. Le motivazioni del Borsellino quater sono chiare: i giudici hanno parlato di un depistaggio di Stato. Il minimo che ci si aspetta, è la verità.

 

 

Di seguito l'elenco completo delle 13 domande di Fiammetta Borsellino inviate a 'Repubblica':

1. Perché le autorità locali e nazionali preposte alla sicurezza non misero in atto tutte le misure necessarie per proteggere mio padre, che dopo la morte di Falcone era diventato l’obiettivo numero uno di Cosa nostra?

2. Perché per una strage di così ampia portata fu prescelta una procura composta da magistrati che non avevano competenze in ambito di mafia? L’ufficio era composto dal procuratore capo Giovanni Tinebra, dai sostituti Carmelo Petralia, Annamaria Palma (dal luglio 1994) e Nino Di Matteo (dal novembre ’94).

3. Perché via D’Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre? E perché l’ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?

4. Perché i pm di Caltanissetta non ritennero mai di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, che non aveva informato mio padre della nota del Ros sul “tritolo arrivato in città” e gli aveva pure negato il coordinamento delle indagini su Palermo, cosa che concesse solo il giorno della strage, con una telefonata alle 7 del mattino?

5. Perché nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre, che aveva detto pubblicamente di avere cose importanti da riferire?

6. Cosa c’è ancora negli archivi del vecchio Sisde, il servizio segreto, sul falso pentito Scarantino (indicato dall’intelligence come vicino ad esponenti mafiosi) e sul suo suggeritore, l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera?

7. Perché i pm di Caltanissetta non depositarono nel primo processo il confronto fatto tre mesi prima fra il falso pentito Scarantino e i veri collaboratori di giustizia (Cancemi, Di Matteo e La Barbera) che lo smentivano? Il confronto fu depositato due anni più tardi, nel 1997, solo dopo una battaglia dei difensori degli imputati.

8. Perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell’inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l’unica versione?

9. Perché la pm Ilda Boccassini (che partecipò alle prime indagini, fra il giugno e l’ottobre 1994), firmataria insieme al pm Sajeva di due durissime lettere nelle quali prendeva le distanze dai colleghi che continuavano a credere a Scarantino, autorizzò la polizia a fare dieci colloqui investigativi con Scarantino dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia?

10. Perché non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? Perché i pm non ne fecero mai richiesta? E perché nessun magistrato ritenne di presenziare al sopralluogo?

11. Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino? Il poliziotto ha dichiarato che l’unico scopo era quello di aiutarlo a ripassare: com’è possibile che fino alla Cassazione i giudici abbiano ritenuto plausibile questa giustificazione?

12. Il 26 luglio 1995 Scarantino ritrattava le sue dichiarazioni con un’intervista a Studio Aperto. Prima ancora che l’intervista andasse in onda, i pm Palma e Petralia annunciavano già alle agenzie di stampa la ritrattazione della ritrattazione di Scarantino, anticipando il contenuto del verbale fatto quella sera col falso pentito. Come facevano a prevederlo?

13. Perché Scarantino non venne affidato al servizio centrale di protezione, ma al gruppo diretto da La Barbera, senza alcuna richiesta e autorizzazione da parte della magistratura competente?