Un fiore per pacificare la memoria

Il libro del giornalista e scrittore Angelo Picariello “Un’azalea in via Fani”, edito dalla San Paolo, è il frutto di una ricerca promossa dall’Istituto di Studi Politici San Pio V, che va dalle origini della lotta armata, a scavare fra le comuni radici, nel complesso fenomeno della contestazione, fra fenomeni eversivi e movimenti cattolici, nati proprio per offrire una alternativa praticabile alla deriva violenta che stava prendendo il sopravvento. “Nel racconto di decine di esperienze di recupero, nello spirito costituzionale voluto da Aldo Moro, viene descritto il ruolo decisivo svolto da uomini della Chiesa e delle istituzioni che per primi hanno guardato a queste persone, in carcere, come uomini, spiazzando così la loro foga ideologica, all’origine delle loro azioni più violente- sottolinea Askanews-. Ma a mezzo secolo dall’esplosione di Piazza Fontana, che voleva far precipitare il Paese nello scontro e portare, attraverso la strategia della tensione, a una svolta autoritaria, ecco affermarsi, alla fine di un percorso lungo e drammatico, un vasto movimento di riconciliazione fra vittime, ex protagonisti della lotta armata e uomini delle istituzioni“.

La visita segreta a via Fani

Numerose e cariche di significato le testimonianze cntenute nel volume fra cui quella dell’ex capo dell’Ucigos, ed ex sottosegretario all’Interno, Carlo De Stefano (che ha collaborato alla ricerca), che lavorò giovanissimo al fianco del commissario Luigi Calabresi; quella di Lucio Brunelli, ex direttore di Tv2000, allievo di Moro e vittima, da studente, di una brutale aggressione, nel 1975, da parte dei neofascisti durante le elezioni universitarie; e l’ex deputato Nicodemo Oliverio, allievo dello statista democristiano all'Università La Sapienza di Roma. Agnese Moro, figlia del presidente della Dc assassinato dalle Brigate Rosse è protagonista di un percorso di riconciliazione che dà anche il titolo al libro, ispirato a una visita segreta dell’autore, in via Fani, in compagnia dell’ex Br Franco Bonisoli, che volle deporre una piantina di azalea, nel 2013, davanti alla lapide che ritrae le foto degli agenti della scorta uccisi nell’agguato. 

Le due Chiese

Nel 1978 Giorgio Bocca parlava delle radici catto-comuniste del terrorismo addossandone la colpa alle “due Chiese”, come le chiamava lui, quella cattolica e quella comunista , che educando al massimalismo avrebbero creato le premesse per la lotta armata. L’autore ha raccolto questa provocazione e ha svolto una lunga e accurata indagine per raccontare la complessità di quegli anni, che videro nascere in parallelo associazioni e movimenti cattolici e organizzazioni eversive, attraverso scenari inediti ai quali la cronaca e la storiografia non hanno prestato, a oggi, la dovuta attenzione. Il libro è diviso in capitoli che vivono ognuno di vita propria: la vicenda di piazza Fontana – che accelera la deriva violenta di una generazione – e la morte del commissario Calabresi, l’azione di Prima Linea, la storia completa delle Brigate Rosse (con il racconto di Franco Bonisoli e Alberto Franceschini) e le dinamiche proprie del terrorismo di destra. Contiene il racconto delle antiche radici comuni fra movimenti cattolici e futuri brigatisti a Milano, al quartiere romano di Centocelle, a Reggio Emilia, e la scoperta della fede per molti di loro, una volta usciti dal carcere, o all’impegno nel volontariato.

Antidoto alla violenza

Guardando al caso Moro, in parallelo ai sequestri Dozier e Cirillo, restano aperti tutti gli interrogativi sulle circostanze che ne impedirono la liberazione. Il filo conduttore viene fornito proprio dall’insegnamento di Aldo Moro e ci dice che la sconfitta della lotta armata (e l’antidoto perché non riaccada) è nella corretta attuazione dei valori della Costituzione più che nelle leggi speciali, nel perdono delle vittime più che nel desiderio di vendetta, nella carità “spiazzante” più che nella repressione, nella ricerca della verità che porti a una memoria condivisa più che in nuove contrapposizioni ideologiche.