Strage del Rapido 904, il giudice va in pensione: il processo d’appello è da rifare

Sedici morti (tra i quali 3 bambini) e 267 feriti. Tanto costò, il 23 dicembre 1984, il terribile attentato dinamitardo al convoglio Rapido 904, diretto a Milano dopo essere partito dalla stazione di Napoli Centrale. Un’esplosione tremenda che squarciò la fiancata del treno mentre transitava sulla Direttissima in direzione nord, poco dopo le 19, provocando una strage, considerata un’anticipazione di quelle che saranno le mattanze mafiose dei primi anni ’90. Ora, a distanza di 33 anni dall’attacco omicida, il processo d’appello è arrivato a una fase non di stagnamento ma, addirittura, di blocco: il presidente della Corte, infatti, andrà in pensione a ottobre, il che significa far ripartire il processo esattamente da dove si era cominciato. La corte, nell’udienza di oggi, ha infatti stabilito il rinvio a data da destinarsi per consentire il completo svolgimento della nuova istruttoria, che l’attuale collegio giudicante non avrebbe potuto portare avanti a causa dell’imminente pensionamento del giudice.

Rapido 904, appello da rifare

Sarà necessario, quindi, ascoltare nuovamente tutti i testimoni già sentiti in primo grado, ai quali si aggiungeranno le nuove testimonianze che verranno rilasciate da sei boss che era stato deciso di interrogare in appello. Quella che era stato identificato a tutti gli effetti come una strage di mafia, con il coinvolgimento del boss Totò Riina (il quale era stato assolto in primo grado e ora unico imputato), dovrà dunque ripercorrere l’iter processuale d’appello per giungere a conclusione. Durante il maxiprocesso, avviato nel 1985, diverse persone affiliate a cosa nostra furono riconosciute colpevoli della carneficina. In particolare, nel 1987, a ricevere una condanna a due ergastoli fu Giuseppe Calò, noto anche come il “cassiere” di cosa nostra.

Secondo quanto spiegato dalla Corte, il rinvio a data da destinarsi è stato disposto in virtù delle recenti modifiche apportate all’articolo 603 del codice di procedura penale – riforma Orlando – che impongono al giudice, nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento, di disporre la riapertura completa dell’istruttoria. Secondo quanto riferito, Totò Riina avrebbe assistito all’udienza in videoconferenza (e in barella), assieme al suo legale, dal carcere di Parma, dove è detenuto.