Sapelli: “Così l'Italia combatte le tecnocrazie europee”

Oltre un mese fa, in piena trattativa tra Lega e M5s per la formazione del governo, il suo nome spuntò fuori come possibile primo ministro. E se non fosse stato per la contrarietà dei 5stelle e per le sue perplessità a svolgere questo incarico, Giulio Sapelli sarebbe stato al posto di Giuseppe Conte. Non avremmo avuto un presidente del Consiglio giurista, bensì un economista.

Classe ’47, con un passato in Eni e Olivetti, già ordinario di Storia ed economia ed Economia politica presso l’Università degli studi di Milano, Sapelli è convinto che sia necessario gettare le basi per superare l’attuale sistema di sviluppo. E per farlo, gli Stati europei devono riappropriarsi dell’economia e della sovranità, che è oggi sprofondata nel “fango tecnocratico ordoliberista”. Questo obiettivo passa per uno scontro tra due borghesie: una nazionale, formata dalle piccole imprese, e una transnazionale, legata agli investimenti stranieri. Ed è intorno a questo scontro che si gioca anche il futuro dell'Italia. Ne parla in quest'intervista a In Terris.

Professore, a quasi un mese dalla formazione del nuovo governo, che bilancio ne trae?
“Positivo. Non c’è stato alcun default, nessuna fuga dei capitali… Nulla di ciò che era stato ipotizzato per angosciare il popolo è avvenuto. Ho molto apprezzato il discorso del ministro Giovanni Tria, che ha rassicurato i mercati. E condivido anche la linea politica di Salvini. Posto che avrebbe fatto meglio a mantenere un tono più basso, sul tema dei migranti è riuscito ad ottenere un risultato che sembrava impensabile con gli altri governi. Ha costretto le tecnocrazie europee a fare un passo indietro sull’agenda da tenere riguardo la gestione dei flussi migratori”.

Tiene però banco il braccio di ferro tra il Ministro dell’Interno e le ong. Crede che andrà avanti a lungo?
“È una polemica che si fonda su quisquilie. Ogni Stato democratico deve assicurarsi che le ong rispettino le leggi internazionali, in primo luogo le leggi marittime”.

Se il primo ministro fosse stato lei, cosa avrebbe fatto di diverso?
“Avrei fatto meno dichiarazioni, ma nei fatti mi sarei comportato nella stessa maniera in cui si sta comportando l’attuale esecutivo. E comunque, sono stato consultato ma non ho voluto fare il primo ministro…”.

Quindi non c’è stato nessun veto nei suoi confronti?
“I 5stelle non hanno gradito il mio nome come primo ministro, che era stato proposto dalla Lega”.

Allora il veto c’è stato…
“C’è stato un non gradimento, il veto è un'altra cosa. I veti non esistono nelle relazioni politiche. I due partiti si sono confrontati e hanno trovato l’accordo su un altro nome”.

Il suo nome come primo ministro era perorato soprattutto da Salvini, a conferma del vostro buon rapporto…
“Salvini è stato un mio allievo all’Università, uno dei tanti che ho avuto nella mia carriera e con cui ho avuto un buon rapporto. Era un bravissimo allievo e con lui sono rimasto molto amico”.

Venendo a temi più strettamente economici, cosa ne pensa dell’idea di Di Maio di rivedere il decreto Monti sul lavoro domenicale?
“Il governo Monti secondo me è stato il peggiore che la Repubblica italiana abbia mai avuto. Se si riesce a cambiare ciò che ha fatto, che è contro gli interessi dei lavoratori e che ha aumentato l’angoscia degli italiani, sicuramente si fa bene”.

Lei in passato ha parlato di una lotta tra borghesie in Italia. Di cosa si tratta?
“C’è una vecchia borghesia compradora, legata ai finanziamenti europei, soggiogata agli interessi del capitale esterno, che ha distrutto l’industria pubblica senza sostituirla con una buona industria privata. E c’è poi una borghesia locale, che è quella delle piccole e medie imprese, che cresce, che è radicata nei territori, che ha un’idea di comunità e quindi non sfrutta gli operai, perché preferisce avere lavoratori affezionati che magari restano per tutta la vita piuttosto che numeri da sostituire ogni sei mesi con contratti a termine. E questo, il precariato diffuso, è ciò che ha prodotto il jobs act…”.

Quanto questa lotta tra borghesie influisce sullo scenario politico italiano?
“Non è che influisce, è lo scenario politico italiano. È già stato descritto da Karl Marx nelle lotte politiche in Francia, tra la vecchia borghesia che aveva preso sulle spalle l’orleanismo e quella che invece rimaneva fedele agli ideali di una borghesia liberale che voleva sviluppare il meccanismo produttivo. Basta leggere i classici per conoscere la realtà di oggi”.

Lei ha scritto di recente il libro “Oltre il capitalismo”. È davvero possibile superare questo sistema di sviluppo?
“È un libro che va letto. È scritto da un personalista cristiano che vuole percorrere una via utopica di superamento del capitalismo”.

Quindi è solo una via utopica, non è percorribile?
“La nostra utopia è tale perché inizia qui. Se noi pensiamo che possa esserci un sistema economico diverso, siamo già avviati verso il cambiamento. Possiamo dunque cominciare a realizzare dei rapporti sociali di produzione che indichino la via: con cooperative vere e non fasulle, con imprese comunitarie, con il credito cooperativo…”.