Renzi medita sul suo avvenire: anche se vince il No le dimissioni non sono scontate

A 6 giorni dal referendum il futuro di Matteo Renzi in caso di una vittoria del No continua a far discutere. Negli ultimi giorni il premier ha invitato gli elettori a guardare il merito della riforma piuttosto che ha interrogarsi sui possibili scenari del 5 dicembre. Ma era stato lui stesso, poco dopo l’ultimo passaggio parlamentare del ddl che modifica la Costituzione, a paventare l’ipotesi di dimissioni in caso di una sconfitta del Sì. Mossa che, di fatto, ha personalizzato il referendum, rendendolo un voto sul governo.

Secondo Eugenio Scalfari, tuttavia, Renzi, nel caso di una vittoria del No potrebbe decidere di non lasciare Palazzo Chigi. Un ruolo decisivo in questo senso potrebbe giocarlo Sergio Mattarella che, pur ribadendo di voler essere “arbitro imparziale” della partita, non ama i temi ultimativi della campagna elettorale. E intende far registrare ogni momento cruciale con un passaggio alle Camere. L’intenzione del Quirinale, ove possibile, sarebbe quella di garantire stabilità al Paese con un esecutivo dotato di una maggioranza salda.

In questo quadro il premier da lunedì farà le sue valutazioni. Tenuto conto del risultato, e cioè appurato non solo se ha vinto il Sì o il No, ma anche di quanto sarà il distacco tra i due schieramenti. Se vincesse il Sì, il governo, magari con qualche ministro cambiato, proseguirà il suo percorso. E l’unica incognita sarà solo la data delle elezioni politiche. Se vincerà il No, magari di poco, non è detto che il premier rassegni le sue dimissioni irrevocabili, nonostante i suoi sostengano ancora questa tesi. “Siamo in campagna elettorale, dobbiamo fare propaganda e quindi dobbiamo dire che se si vota No dopo c’è il caos. Ma il 5 dicembre vediamo…” spiega una delle persone più fidate di Renzi. Come a dire che nulla è ancora deciso.

Infine c’è l’ipotesi choc paventata da Affaritaliani secondo cui il capo del governo sarebbe intenzionato a dimettersi prima del 4 dicembre. In questo modo otterrebbe due risultati: da una parte spersonalizzerebbe la consultazione e, dall’altra, potrebbe risollevare le sorti del Sì mostrandosi agli italiani come un politico non attaccato alla poltrona.