Piepoli: “Ecco come si fa un buon exit poll”

È un rito che si consuma ad ogni appuntamento elettorale. Nel lasso di tempo che va dalla chiusura dei seggi all’uscita delle prime proiezioni, moltitudini di italiani si posizionano davanti alla tv per seguire i dibattiti politici sugli exit poll. Fiumi di parole vengono spesi sui rinomati sondaggi effettuati tra gli elettori nel giorno stesso in cui costoro si recano al seggio. Specie negli ultimi anni, tuttavia, l’exit poll è diventato oggetto di perplessità: sono diversi gli opinionisti che lo ritengono ormai non più molto attendibile. Critiche che respinge con fermezza il prof. Nicola Piepoli, una vera e propria istituzione in Italia nelle ricerche di mercato e nei sondaggi, volto televisivo che appare ad ogni elezione da decenni.

Come funziona un exit poll

Intervistato da In Terris, afferma con orgoglio che l’Istituto Piepoli, di cui è presidente e fondatore, “ha dato dei dati che hanno poi avuto una perfetta corrispondenza con i risultati finali”. Il prof. Piepoli sciorina i numeri: “Alle ore 22, i nostri exit poll davano la Lega tra il 27 e il 32, il Pd intorno al 23, M5s al 19, Forza Italia al 10, Fratelli d’Italia al 6. Noi abbiamo lavorato bene”. Soddisfatto anche del lavoro svolto per le elezioni locali. “Prendiamo il Piemonte – commenta – noi abbiamo dato il 49% ad Alberto Cirio e il 36 a Sergio Chiamparino, i risultati finali sono stati 49,8 per Cirio e 35,8 per Chiamparino…”. Ma quali sono gli elementi imprescindibili per riuscire ad indovinare i risultati elettorali? “Avere – risponde – un buon campione di seggi da esplorare, dei bravi intervistatori distribuiti su tutto il territorio nazionale, delle efficaci strisce di ponderazione dei vari partiti, ovvero una buona elaborazione”. Ma ciò non basta. Come nella cucina di un bravo chef, questi ingredienti vanno lavorati con attenzione per trarre dei risultati. Eppure – spiega Piepoli sfatando forse un mito diffuso – le persone intervistate fuori dai seggi “non si aprono, ripetono sempre ‘il voto è segreto’”. Ciò che fa capire dove si indirizza il voto sono le caratteristiche dei votanti, cioè “sesso, età e condizione socio-economica”. L'analisi si concentra sul tipo di affluenza.

“Nuovo governo? Meglio di no”

Negli anni gli istituti di ricerca hanno dovuto aggiornarsi, anche perché i fattori che incidono sul voto sono “radicalmente cambiati”, spiega Piepoli. Che aggiunge: “Si figuri, io ho cominciato che c’erano democristiani e comunisti, oggi c’è una situazione molto diversa, con altri partiti che – dice con sarcarsmo – sono magari figli e nipoti dei loro predecessori, ma molto poco figli e molto poco nipoti…”. I nuovi partiti – prosegue – “sono entità diverse, che però esprimono sempre i bisogni fondamentali che sono di destra e sinistra”. Per Piepoli, dunque, la contrapposizione binaria che ha caratterizzato il secolo scorso non è scomparsa. Ci tiene a precisare, il celebre sondaggista, che lui è un tecnico, non un politico; pertanto rifiuta di esprimersi sulle motivazioni che potrebbero aver spostato i voti. Non si esprime nemmeno sull’ipotesi che, a seguito del capovolgimento dei rapporti di forza elettorali nella maggioranza di governo sanciti dalle Europee, possa cadere l’esecutivo. Però commenta: “Se il governo salta, è maggior lavoro per noi. Ma non è che io pensi a un benvenuto a nuove elezioni, perché frenano il pil. Meglio continuare così”. Chissà se Palazzo Chigi qualcuno ascolterà il consiglio del prof. Piepoli.