Perché ai partiti conviene andare al voto ora

Se nella politica politicata i numeri sono tutto, come insegna la storia delle compravendite dei parlamentari, insana abitudine di ogni legislatura, nell’analisi dei fatti aiutano a capire ma non sciolgono ogni dilemma. Altrimenti non saremmo qui a chiederci perché mai questo governo, e l’annessa maggioranza, siano ancora in piedi. Ormai è del tutto evidente come le ragioni del dissenso fra 5 Stelle e Lega siano superiori ai motivi per i quali andare ad elezioni anticipate sarebbe lo sbocco naturale di questa sorta di ballo di San Vito che governa il Paese.

Il governo in numeri

Per dire. Ad oggi sono sette, e presto potrebbero diventare otto, i decreti legge, su 16 approvati dal governo Conte, che hanno ottenuto il via libera con almeno un voto di fiducia. Non è un record ma è l’indicatore di come il contratto di governo, adottato come collante per tenere insieme opposti destinati a non attrarsi mai, sia solo un paravento. Un prodotto elettorale simile a quello siglato da Berlusconi con gli italiani. Proprio per questa ragione martedì prossimo potrebbe essere, il giorno in cui inizia la fine del governo del cambiamento. L’ipotesi, tutt’altro che peregrina, inizia a prendere corpo anche fuori dai palazzi romani. Il 6 agosto è il giorno in cui arriva a Palazzo Madama, per il via libera definitivo, il Decreto Sicurezza bis fortemente voluto da Matteo Salvini e dalla Lega. Al Senato i numeri sono molto precari per la coalizione di governo, che dispone di 163 voti ovvero solo due in più rispetto ai 161 della maggioranza assoluta dell’Aula (sommando i 106 senatori pentastellati e i 57 del Carroccio, e considerando che le condizioni di salute non permettono a Umberto Bossi di partecipare ai lavori parlamentari). Tuttavia nell’ultimo voto di fiducia a palazzo Madama, il 27 giugno scorso sul dl crescita, il governo si fermò a 158 voti favorevoli, a fronte di 104 no e 15 astenuti. Dunque l’esecutivo rischia molto, anche perché se decide, come è probabile, di mettere la questione di fiducia sul provvedimento non potrà contare sui voti di Forza Italia e Fratelli d'Italia che hanno già dichiarato di essere d'accordo sul merito del Decreto ma di non avere alcuna intenzione di votare la fiducia all'esecutivo. E quindi dal resto del Centrodestra, come dal Partito Democratico e dalle altre formazioni di opposizione, arriverà un no chiaro. Il problema è che, alla luce delle continue tensioni nella maggioranza (dal via libera alla Tav Torino-Lione all'autonomia regionale, passando per il Russiagate e il dibattito sulla riduzione delle tasse), all'interno del Movimento 5 Stelle si sta ampliando la fronda dei contrari al Decreto Sicurezza bis, sia nel merito (troppo di destra) sia come “vendetta” politica nei confronti del ministro dell'Interno. Non si tratta affatto di questioni di poco conto.

I sondaggi

Tangenziale a tutto questo ci sono i numeri magici dei sondaggi. L’ultimo, quello realizzato da Winpoll (condotto la scorsa settimana e pubblicato su Il Sole 24 Ore) mette le ali alla maggioranza alternativa: Lega al 38,9% dei consensi, Fdi al 7,4%. E se anche il quotidiano economico si mette a fare i conti la situazione non è seria, è proprio grave. Sommando i voti di Salvini e della Meloni, in questo momento, in base alle ultime rilevazioni, arrivano al 46,3%. “Con questi numeri è praticamente certo che in caso di voto anticipato i due partiti otterrebbero insieme la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere”, si legge sul sito del Sole. Di fronte ad una prospettiva come questa vale ancora la pena litigare per la Tav? Ed è davvero necessario affrontare un campo minato come la stesura della Legge di bilancio, quando il percorso alternativo c’è? Non solo. La crisi strutturale di Forza Italia, ormai allo sbando, se non proprio alla fine della sua storia, e l’indeterminatezza del Pd, ondivago sulla linea e troppo intento a litigare al proprio interno più che a fare opposizione, dando un forte vantaggio alla Lega, tratteggiano un quadro tale da rendere plausibile la scelta delle urne. Una domanda, fra le mille possibili, resta comunque sullo sfondo.

Il 6 agosto sarà il giorno x?

Se il prossimo 6 agosto sarà davvero un giorno da segnare in rosso sul calendario, e se dovesse cadere il governo, poi ci sarebbe ancora il tempo per votare in autunno o ci sarebbe un esecutivo di transizione o del Presidente? Su questo non ci sono i numeri che dicano come la pensa. Però è legittimo pensare ad un Quirinale realista, più che attendista. E il senso del realismo potrebbe passare attraverso le urne. I governi del presidente sono una proiezione della politica, come narra la storia. E pure i numeri. Ad oggi, nella storia Repubblicana, ne contano quattro, solo due veri. I numeri, nelle analisi, non dicono tutto ma aiutano a comprendere.