Pd a rischio scissione, Renzi corre verso il voto, D’Alema: “Pronti al liberi tutti”

Si accende a sinistra la sfida tra Matteo Renzi e Massimo D’Alema. Due anime di uno stesso partito, almeno per ora. Perché l’ex leader dei Ds, che ha appena fondato “ConSenso”, si dice pronto al “liberi tutti” se “si corre alle elezioni”. La reazione dei renziani è furente: “E’ paradossale che chi ha ucciso più volte il centrosinistra ora voglia ricostruirlo”, ripetono Ernesto Carbone come Stefano Bonaccini, tutti a Rimini per l’assemblea degli amministratori ma ancora di più per il ritorno sul palco di Matteo Renzi.

Ma alla scissione e alle minacce dalemiane il leader dem non dedica neanche una parola, attento a presentare il Pd come il partito della proposta e non della protesta, come a suo avviso è M5s, il vero rivale alle elezioni “in cui la competizione sarà a tre con buona pace di qualche compagno”. A Renzi “è rimasto solo l’insulto. Se è così sicuro di vincere faccia dimettere Gentiloni e subito al voto!”, contrattacca Beppe Grillo. Agli inviti alla cautela, arrivati anche dal Colle, il leader dem risponde con il nuovo quadro mondiale e la necessità dell’Italia di “non tornare vaso di coccio” per motivare la necessità di elezioni anticipate. “Il punto non è il giorno delle elezioni, se votiamo con la legge della Consulta o la legge x o y, sono specchietti per le allodole”, dice Renzi che comunque farà fare un tentativo, in cui non crede, per migliorare i due sistemi elettorali diversi di Camera e Senato.

E se urne saranno, il leader dem vuole correre per il 40 per cento lanciando quello che Maurizio Martina, il fedelissimo della minoranza che entrerà in segreteria, indica come “un progetto largo aperto che guardi anche a Giuliano Pisapia“. Ma, assicura Renzi, il Pd è contro gli inciuci e proprio per questo voleva la riforma istituzionale. “O si ha paura dell’uomo solo al comando, come diceva chi era per il No al referendum, o delle larghe intese, di tutti e due non è possibile”, ironizza l’ex premier. Per la corsa al voto il leader Dem ha dalla sua la maggioranza del partito, anche se Matteo Richetti si smarca definendo “da irresponsabili” andare a votare con i due sistemi usciti dalla Consulta. Dal canto suo, da Lisbona, Gentiloni si tira fuori: sulla durata della legislatura, dice, “non decide il governo”, ma Parlamento e forze politiche.

Chi per ora resta a metà del guado tra il “liberi tutti” di D’Alema, ormai da tempo lontano dalla vita del Pd, e il Pd è la minoranza interna. Roberto Speranza e Nico Stumpo partecipano sia alla kermesse dalemiana sia all’assemblea Pd di Rimini. La battaglia ora che le urne sembrano ancora più imminenti è cercare, come chiede Pier Luigi Bersani, di togliere i capilista bloccati “mattone” per la governabilità e per evitare “un partito dei servi“. Se il leader dem farà fuori la minoranza dalle liste, non resterà altra strada che la scissione. Ma dopo il rientro di oggi, l’impressione della sinistra interna è che Renzi non sia sulla palla: “Sembra un pugile suonato, più che l’elaborazione della sconfitta c’è la rimozione”.