La produzione di “Parmesan” supera il Made in Italy

La produzione di falsi Parmigiano Reggiano e Grana Padano, a partire dal Parmesan, ha superato nel mondo quella degli originali con il diffondersi di tarocchi in tutti i Continenti che toglie spazi di mercato ai simboli del Made in Italy”. Lo denuncia la Coldiretti nello stigmatizzare il documento della statunitense National Milk Producers Federation che chiede di poter vendere le imitazioni dei formaggi italiani anche nell’Unione europea. “Gli Stati Uniti sono infatti grandi produttori delle imitazioni dei formaggi di tipo italiano dal Wisconsin allo Stato di New York fino in California, ma il Parmigiano, assieme al Grana, è il prodotto agroalimentare più imitato nel mondo – sottolinea Coldiretti – che diventa Parmesan dagli Stati Uniti all’Australia, dal Sudafrica fino alla Russia, Parmesano in Uruguay, Reggianito in Argentina o Parmesao in Brasile o altro anche più fantasioso, come il Grana Pampeana senza dimenticare i formaggi similari che si moltiplicano anche in Europa”.

Crollo delle esportazioni

Una proliferazione favorita anche dal fatto che “con l'accordo di libero scambio con il Canada (Ceta) per la prima volta nella storia l’Unione Europea ha legittimato in un trattato internazionale – denuncia Coldiretti – la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi, accordando esplicitamente il via libera alle imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali”. Il risultato è stato un “crollo devastante” delle esportazioni di Grana Padano e Parmigiano Reggiano in Canada che si sono ridotte praticamente di 1/3 (-32%) scendendo a soli 1,4 milioni di chili nel primo semestre del 2019, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente mentre al contrario nello stesso periodo il Canada festeggia la produzione di ben 6,3 milioni di chili di falso Parmigiano Reggiano (Parmesan), in aumento del 13% rispetto allo stesso periodo del 2018. “Ma anche sul mercato europeo proliferano i similgrana di bassa qualità spesso venduti con nomi di fantasia che fanno concorrenza sleale ai prodotti originali e spesso – continua la Coldiretti – ingannano i consumatori sulla reale origine che è prevalentemente di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia e Lettonia”. “La pretesa di chiamare con lo stesso nome prodotti profondamente diversi è inaccettabile e rappresenta un inganno per i consumatori e una concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori – sostiene la Coldiretti -. La richiesta dei produttori statunitensi va dunque respinta al mittente ma vanno anche rafforzati i meccanismi di tutela delle produzioni agricole italiane ed europei negli accordi di libero scambio”.