Il saluto di Palermo alle vittime

Dalermo si è fermata per ricordare le 9 vittime della tragedia di Casteldaccia, provocata dalla piena del fiume e dall'abusivismo. 

Commozione

Un lungo applauso e le campane a lutto hanno accolto l'arrivo delle salme sorrette fino all'ingresso di una cattedrale gremita da centinaia di persone, che hanno voluto tributare l'ultimo saluto alle vite spazzate via dal Milicia. Affranto Giuseppe Giordano, 35 anni, che ha visto morire la moglie, Stefania Catanzaro, 32 anni, la figlia di un anno, Rachele, e il figlio Federico, di 15 anni, che ha tentato di salvare la sorellina tenendola in alto fino a quando non è stato sopraffatto dalla furia dell'acqua. Morti anche i genitori di Giordano, Antonino, 65 anni, e Matilde Comito, la sorella Monia, 40 anni, il fratello Marco, 32 anni; travolti e uccisi pure il nipote di tre anni, Francesco Rughoo, e la nonna 65enne del piccolo, Nunzia Flamia.

Il vescovo

“Dobbiamo fermarci, non possiamo proseguire oltre, indifferenti, dinanzi a tanta sofferenza. Dobbiamo 'sentire' queste morti, far nostro questo dolore, com-patirlo, portarlo insieme a quanti ora ne sono schiacciati. Dobbiamo cambiare. Tutti. Dobbiamo convertirci” ha scritto l'arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, in un messaggio letto durante la celebrazione. “Care sorelle, cari fratelli, mi trovo lontano da Palermo – ha spiegato – ma sento l'urgenza di far giungere a voi la mia voce in un momento di dolore così forte e lacerante. Di fronte alla morte innocente e allo strazio di chi resta non possiamo che levare lo sguardo verso il nostro Signore. Egli non offrì mai spiegazioni alle tragedie umane, ma si fece carico, con una commozione intensa, dei nostri smarrimenti e dei nostri lutti”. Dobbiamo porre, ha aggiunto, la figura di Gesù “davanti ai nostri occhi e contempliamolo sulla via di Nain, quando fremette interiormente di fronte al funerale dell'unico figlio di una madre già vedova. Possiamo immaginare il grido di quella donna che risuona ancora oggi e che tocca nelle viscere me, vostro pastore, e tutta la comunità dei credenti in Cristo. Osserviamo però al contempo anche il gesto di Gesù che, vedendo quel dolore, risuscitò il ragazzo e lo riconsegnò a sua madre”.
Questo gesto, per l'arcivescovo, “è per tutti noi fonte di speranza in mezzo alle contraddizioni e alle doglie del parto di questa nostra storia che rimane in attesa di liberazione e di vita piena”. Per questo “insieme alziamo la nostra voce e gridiamo a Gesù: Gesù di Nazareth, dobbiamo fermarci, non possiamo proseguire oltre, indifferenti, dinnanzi a tanta sofferenza. Dobbiamo cambiare. Tutti. Dobbiamo convertirci. Gesù facci guardare al mondo e agli uomini con i tuoi occhi, con stupore, rispetto, attenzione, amore. Facci abitare la terra da custodi sapienti e da pellegrini impavidi, non da padroni stanziali. Facci avvicinare ad ogni dolore per stendere le mani e toccarlo, assumerlo, fino a sentirlo nelle nostre viscere”.