Il flagello dell'emigrazione di giovani italiani

Ogni qual volta l’italiano medio sente parlare del tema delle migrazioni rivolge idealmente lo guardo verso Sud, verso le nostre coste che, negli ultimi anni, sono state approdo di centinaia di migliaia di persone di culture diverse. Eppure, più dell’immigrazione di stranieri in Italia, raggiunge cifre sempre più imponenti l’emigrazione di italiani, specie giovani, all’estero. Sono stati 140mila i connazionali che hanno abbandonato il Belpaese nel 2018, mentre poco più di 23mila sono stati i migranti sbarcati sul suolo italiano nello stesso anno. Ad oggi gli italiani residenti all’estero sono 5,5milioni (il 9 per cento dell’intera popolazione). Portano con sé i trolley anziché le valige di cartone, ma le dinamiche sono le stesse: quasi sempre se ne vanno perché non hanno scelta, e spesso in modo definitivo.

Giovani cittadini del mondo

Lo si evince anche dal docu-film “Italia addio. Non tornerò”, della giornalista Barbara Pavarotti, presentato la scorsa settimana alla libreria Horafelix di Roma. La pellicola è realizzata dalla “Fondazione Cresci per la Storia dell’emigrazione italiana”, che ha lanciato un appello nei circa settanta gruppi social esistenti di “Italiani nel mondo”: in tanti hanno aderito. “È stata una scelta precisa quella di utilizzare i social, anziché fonti istituzionali, come consolati o enti che si occupano degli italiani all’estero – spiega la Pavarotti ad In Terris -. Non volevamo segnalazioni sulle eccellenze italiane, ma totale casualità”. Per quanto riguarda le professioni la giornalista racconta di aver scelto “giovani impegnati nelle attività più varie e con titoli di studio diversi”, dai professori universitari ai pizzaioli passando per imprenditori, astronomi e medici. Ma siamo di fronte a un’inevitabile mobilità nel mondo globale o a un esodo forzato? “A entrambe le cose”, risponde la Pavarotti. “Questi giovani – prosegue – sono internazionalizzati, si sentono cittadini del mondo, fanno parte della generazione abituata a vivere senza confini, molti sono viaggiatori per natura e hanno lasciato l’Italia perché la considerano immobile, provinciale, un Paese invecchiato e pessimista, preda della depressione, della rassegnazione e della sfiducia. Non considerano l’Italia un predellino di lancio per una carriera internazionale”. Ma tanti altri sono partiti per necessità e non per scelta. “Perché in Italia – riflette la giornalista – non avevano un futuro e hanno trovato tutte le porte sbarrate. Hanno inviato centinaia di curriculum ricevendo in cambio il silenzio e il vuoto”. In loro regna l’idea che in Italia “il lavoro è una questua” e “tutti sottolineano quanto l’Italia sia poco meritocratica, in preda alle raccomandazioni e dove si va avanti solo se conosci. Mentre all’estero – le testimonianze raccolte dalla Pavarotti – se sei bravo si fidano, non conta chi sei, ma ciò che fai. Ti mettono alla prova e se sei valido ti prendono. Non si può, dicono, vivere elemosinando il lavoro”.

La perdita delle radici

Fa pensare che le Regioni con il maggior numero di emigrati siano le ricche Lombardia e Veneto. “Questo dimostra che il fenomeno è assolutamente trasversale, che anche qui il lavoro per i giovani è spesso un miraggio”, dice la giornalista. Le mete più gettonate sono i Paesi del Nord Europa, con in testa la Germania oltre a Londra e la Gran Bretagna, malgrado le preoccupazioni per la Brexit, ma anche gli Stati Uniti con le due metropoli sulle sponde dei due Oceani, New York e Los Angeles, e l’Australia, che in molti definiscono terra di grandi opportunità. Ma il dato inedito emerso dal docufilm è la grande attrattiva che ha per i giovani italiani l’Estonia, un Paese all’avanguardia nell’informatica, dove esiste la cittadinanza digitale. “Chi sta in Estonia – afferma la Pavarotti – sostiene di sentirsi parte di un cambiamento positivo, di un Paese in evoluzione e quindi con una mentalità ottimistica, volta al futuro”. Ma prevale più la nostalgia o la convinzione di aver fatto la scelta giusta? “Anche dal punto di vista emotivo, c’è un groviglio di sentimenti ed emozioni contraddittorie come fu per i nostri nonni espatriati”, risponde la Pavarotti. La quale ha riscontrato che “tutti sono convinti di aver fatto la scelta giusta, quasi nessuno pensa a un rientro definitivo in Italia”. Eppure la nostalgia affiora sempre, insieme al senso della perdita. “C’è la consapevolezza – dice – di aver perso qualcosa, le radici, gli amici, i riti familiari, soprattutto da parte di chi sta oltreoceano. Un conto è stare a due ore di volo, un altro in Australia”. Ma la Pavarotti ci tiene a sottolineare anche un altro aspetto interessante emerso dal docufilm: “Che questi giovani, quando tornano in Italia per brevi periodi, si sentono stranieri a casa propria. Troviamo, dicono, la famiglia, non il mondo che abbiamo lasciato. La vera casa per tutti è là, nel Paese dove hanno messo le nuove radici. L’Italia la vedono come un bel posto per vacanze, ma finisce lì”. Ma vivere all’estero aiuta anche a rivalutare l’Italia, “proprio perché la vedono con gli occhi degli stranieri: un Paese pieno di arte, cultura, bellezza. Rimangono orgogliosi di essere italiani, ma ne vogliono stare lontano”.

Una famiglia su tre ha un figlio all'estero

Della fuga di giovani dall’Italia, rispetto all’entità della questione, se ne parla poco. Secondo la Pavarotti ciò è dovuto al fatto che il fenomeno “mette in discussione anni di politiche economiche italiane”. Riflette la giornalista: “La grande fuga è iniziata dieci anni fa e aumenta ogni anno. Che si è fatto in questo periodo? Nulla. Anzi, si sono incentivati i giovani ad andare all’estero, il che è bellissimo, ma non quando è un obbligo perché in patria non hai nessuna opportunità”. E oggi sembra che l’emorragia giovanile ci sia piombata addosso all’improvviso: “Solo ora che quest’esodo è diventato una vera emergenza nazionale ci si accorge che si sta perdendo, insieme alle nuove generazioni, il futuro. Impreparata e sbigottita, ora l’Italia scopre che quasi una famiglia su tre ha un figlio all’estero o che pensa di andarci. Solo ora si ‘scopre’ che i ragazzi si sentono inutili, respinti da una società dove sembra che i giovani non servano. E si è preso atto che i giovani, non riuscendo a scalfire questo sistema, se ne vanno”. E intanto ne deriva che le famiglie sono disgregate, i genitori invecchieranno senza figli e nipoti vicini. La Pavarotti afferma: “Il tessuto familiare e i legami inter-generazionali, che sempre hanno sorretto l’Italia, si stanno perdendo. Come sarà il futuro dei tantissimi genitori anziani privati del conforto dei figli? Su questo ancora nessuno si interroga”. Ma al di là dello stato di necessità, influisce sull’emigrazione di italiani anche una certa esterofilia diffusa? La Pavarotti condivide l’analisi. “L’estero è considerato l’Eldorado, la terra promessa mentre l’Italia ‘fa schifo’ – osserva -. Tutta la narrazione dal 2000 in poi si è basata su questo. E forse, come ci insegnano anche i nostri giovani all’estero, dovremmo tutti ricominciare a rivalutare un po’ l’Italia e rimboccarci le maniche per migliorarla”. Si parla spesso di giovani italiani che fanno i lavapiatti a Londra ma che mai farebbero una mansione simile in Italia. “È vero, i giovani fanno all’estero mestieri che in Italia non farebbero – spiega -. Ma la differenza è enorme: da noi l’ascensore sociale, dicono, è bloccato. Se inizi lavapiatti lo resti a vita. Altrove, invece, raccontano questi ragazzi, cominci dal basso e puoi migliorare in breve tempo la tua posizione”. Ma è anche vero – aggiunge la giornalista – “che i nostri giovani all’estero sono più concentrati sui loro obiettivi perché costa fatica stare fuori dal nido e partire è assunzione di responsabilità”. Lei ci tiene a raccontare la testimonianza di Marco, di Firenze, che sta a Los Angeles e fa il direttore della fotografia: “In Italia – dice il giovane – le persone non volevano insegnarti niente, anzi ti mettevano i bastoni fra le ruote perché avevano paura che in futuro tu gli rubassi il lavoro. Senza pensare che ci deve essere un flusso, un ricambio generazionale”. Secondo la Pavarotti “sarebbe importante interrogarsi su queste parole”. Infine riflette: “I nostri giovani dall’estero ci stanno insegnando tanto e ci spingono a cambiare. Mentre i giovani rimasti chiedono una cosa sola: essere liberi di partire, ma anche di restare. E magari di andare e poter tornare”.