“Foibe? Fu pulizia etnica, ma non solo…”

Il Giorno del Ricordo di domenica scorsa ha lasciato dietro di sé una scia di polemiche. Da Croazia e Slovenia sono giunte diverse note di appunto nei confronti di esponenti politici italiani. Il presidente sloveno, Borut Pahor, ha persino scritto una lettera al capo dello Stato, Sergio Mattarella, nella quale esprime “preoccupazione” per quelle che definisce “dichiarazioni inaccettabili da parte di rappresentanti di alto livello della Repubblica italiana in occasione della commemorazione delle vittime delle foibe che vogliono creare l’impressione che sia stata una pulizia etnica”. Ma l’uccisione sistematica degli italiani dell’Istria, della Dalmazia, di Fiume non fu forse una pulizia etnica? In Terris ne ha parlato con il prof. Gianni Oliva, autore di numerosi saggi sul Novecento tra cui alcuni sulle foibe e sull’esodo, già esponente del Pci e dunque insospettabile di simpatie nostalgiche per fez e camice nere.

Professore, fu o no pulizia etnica?
“Fu una pulizia etnica-politica. Etnica perché colpì la comunità italiana, politica perché mirava a portare la Jugoslavia al tavolo delle trattative rivendicando un territorio che non avesse riferimenti con l’Italia. Furono eliminati personaggi che avevano avuto un ruolo nel vecchio regime fascista, ma anche tutti gli esponenti del Comitato nazionale di liberazione della Venezia-Giulia, cioè gli anti-fascisti, nonché i comunisti italiani contrari all’annessione. Furono eliminati coloro che rappresentavano l’intellighenzia, i professori, così come coloro che rappresentavano lo Stato, i dipendenti statali. L’esercito di Tito era nazional-comunista, perseguiva l’obiettivo politico del comunismo usando però il cemento del nazionalismo per tenere insieme i popoli della Ex Jugoslavia”.

Quanti furono gli infoibati?
“Le cifre sono sempre ballerine in queste circostanze. Io credo sia corretta quella delle 8-10mila persone uccise, perché emerge dalle relazioni che gli ufficiali inglesi e americani, giunti a Trieste qualche giorno dopo i titini, scrissero agli alti comandi a Caserta. Questi ufficiali erano super-partes, non avevano alcun interesse a sovrastimare né a sottostimare le cifre, in quanto avevano bisogno di relazionare ai loro superiori quanto stava realmente accadendo. Certo non c’erano le condizioni per fare conteggi dettagliati, ma credo sia una stima attendibile”.

C’è chi ritiene che la cifra sia esagerata…
“Qualcuno sostiene che le persone uccise sarebbero all’incirca 5mila. Non capisco che differenza faccia, mi pare che nulla toglierebbe al carattere stragista del fenomeno”.

L’alternativa alla morte era spesso la fuga. Quanti furono gli esuli?
“Gli esuli ritengo siano stati tra i 300 e i 320mila, ma anche qui non è facile essere precisi perché molti fuggirono negli Stati Uniti e in Australia senza passare per l’Italia: senz’altro dopo l’annessione dell’ex Jugoslavia, l’80% degli italiani che abitava l’Istria e la Dalmazia se ne andò”.

Questa pagina storica, per decenni relegata all’oblio, è stata definitivamente sdoganata?
“Credo che il primo sdoganamento sia avvenuto nel 1996, quando si sono ritrovati a parlarne all’Università di Trieste Gianfranco Fini, da poco presidente di Alleanza Nazionale, e Luciano Violante, presidente della Camera ed esponente del Pds. Fu la prima volta che esponenti di due parti che avevano da un lato enfatizzato e dall’altro negato il fenomeno, si ritrovarono a parlarne insieme come di un fatto storico da riconoscere tutti come un pezzo della storia d’Italia. Poi ci sono state pubblicazioni, la prima è stata la mia nel 2000, nonché un percorso politico che ha portato il Parlamento, nel 2004, a riconoscere il Giorno del Ricordo”.

Come valuta, tuttavia, i tentativi ancora esistenti di ridurre o negare il fenomeno?
“Li valuto come intemperanze cui viene dato un rilievo maggiore rispetto alla loro consistenza. So che c’è stato qualche tentativo qua e là di Anpi locali di ridimensionare il fenomeno: assolutamente sbagliato, ma non così significativo dal punto di vista quantitativo. Piuttosto, mi sono reso conto in questi giorni, girando in tutta Italia per fare conferenze, che i giovani ne sanno pochissimo. E non perché a scuola non se ne voglia parlare, ma perché si studia poco la storia contemporanea: tutti gli studenti sanno che c’è stato Annibale, in pochi sanno che c’è stato Aldo Moro assassinato dalle Brigate Rosse o il maresciallo Tito ad imperversare nel confine orientale. Se un ministro dell’Istruzione avesse il coraggio di dire che la storia si studia dalla Rivoluzione francese in poi, facendo un grande quadro d’insieme di tutto ciò che c’è stato prima, si perderebbe una parte bella del nostro passato remoto ma si conoscerebbe meglio il retroterra sul quale costruire il presente”.

Riemerge periodicamente la questione delle pensioni agli ex partigiani jugoslavi
“Da punto di vista giuridico non so come funzioni. La sensazione comunque è che in Italia ci siano persone che percepiscono la pensione pur essendosi macchiate di crimini gravi e delittuosi. Ricordo che si parlò per molti anni del fatto che la pensione fu riconosciuta al capo dei partigiani responsabili dell’eccidio di Porzus ai danni dei partigiani bianchi della Brigata Osoppo. Sicuramente hanno usufruito della pensione anche degli infoibatori. Ho l’impressione però che certe polemiche, condite dai toni di alcuni esponenti politici, siano attizzate non per capire la storia, bensì per alimentare strumentalizzazioni. Lo scopo della storia non è questo, è capire perché i fatti accadono. Nel caso specifico, va capito come mai l’ideologia nazional-comunista ha causato tutti quei morti e tutti quei profughi”.

A proposito di polemiche: si chiede che venga revocata l’onorificenza che la Repubblica italiana riconobbe in passato al maresciallo Tito…
“Io vivo a Torino, dove è pieno di vie intitolate ad esponenti di casa Savoia, che pure sono rimaste anche dopo il referendum del 2 giugno ‘46 con cui siamo diventati una Repubblica. Ho la sensazione che molti uomini politici abbiano una tale difficoltà a differenziarsi sui progetti per il futuro che finiscono per differenziarsi per le bandierine sul passato”.