Ex Ilva, Conte boccia il piano Mittal

Da 10.789 a 6.098 con un colpo di forbice, per un totale di 4.700 esuberi nell'organico dell'ex Ilva calcolati nel piano industriale di Arcelor Mittal. L'ennesima svolta inattesa che va a scombinare le carte del dossier tarantino, lasciando perlomeno perplesso il tavolo del Mise, nuovamente alle prese il problema tagli che, stando al prospetto presentato dall'ad del gruppo franco-indiano, Lucia Morelli, verrebbe compensato da un incremento del volume di produzione, dai 4,5 milioni di tonnellate di acciaio ai 6 milioni previsti a partire dal 2021. Un lasso di tempo che, a ogni modo, vedrebbe già cadere 2.891 posti di lavoro, in quanto obiettivo inquadrato come da raggiungere entro il 2020. Condizioni che rialzano una barriera di ghiaccio fra ArcelorMittal e governo, facendo saltare buona parte del filo d'intesa faticosamente instaurato per tornare al tavolo delle trattative. E, posto che il piano industriale non ha convinto le sigle sindacali (“Un piano che ha un impatto enorme – lo ha definito Antonio Marinaro, presidente di Confindustria Taranto -. Non mi quadra la diminuzione degli occupati con l’aumento della produzione”), anche da Palazzo Chigi è arrivata la bocciatura, con il premier Conte che definisce “inaccettabile” il progetto, rispedendo la proposta al mittente.

Caos sindacati

Mantiene comunque ottimismo Giuseppe Conte, sostenendo che il governo lavorerà “come durante questo negoziato agli obiettivi che ci siamo prefissati col signor Mittal e che il signor Mittal si è impegnato personalmente con me a raggiungere, e ci riusciremo”. Il punto è che, al momento, il nuovo piano industriale presentato dall'azienda verrebbero meno i vincoli dell'accordo stipulato nel 2018, variabile che scontenta i sindacati e costringe di fatto a ricominciare quasi da zero, tanto che il segretario generale Cisl, Maurizio Landini, ha chiosato affermando che quello presentato da ArcelorMittal “non è un piano industriale: è un progetto di chiusura nel tempo di Taranto e di Ilva”. Da Confindustria, intanto, si torna a ipotizzare l'intervento pubblico: “Noi non amiamo l'investimento pubblico, ma è chiaro che con siti strategici come questi, occorre fare una riflessione: ove dovesse emergere un piano b, è evidente che con buonsenso e pragmatismo occorre affrontare anche questo”.