“Ecco perché una canzone su tre dovrebbe essere italiana”

“Lingua d’amore che è bella da sentire”. Così Riccardo Cocciante definiva “La nostra lingua italiana” nel suo omonimo brano musicale. Ma quante possibilità si hanno oggi, sintonizzandosi su una frequenza radiofonica italiana, di poter ascoltare melodie in quella che il cantautore definiva “lingua d’amore”? Secondo i dati della Siae (Società italiana degli autori ed editori) relativi al periodo 2010-2017, solo quattro stazioni radio delle dieci maggiori arrivano alla soglia del 33 per cento di musica composta da autori italiani, ossia una su tre.

Una diffusione, quella della musica italiana in radio, considerata bassa dall’on. Alessandro Morelli (Lega), depositario di una proposta di legge che intende fissare una quota minima e obbligatoria di canzoni di autori italiani da trasmettere per tutte le emittenti: 33 per cento, appunto. Qualcosa di simile esiste già oltreconfine. In Francia, ad esempio, è da decenni che è in vigore un misura che impone alle radio transalpine di trasmettere una quota di canzoni francesi non inferiore al 40 per cento. Nel 2013 la proposta di adottare una norma per difendere la musica magiara in Ungheria contribuì a rendere Viktor Orban bersaglio delle critiche occidentali. E ora anche in Italia il dibattito è divampato. In tanti sostengono Morelli: Albano Carrisi ritiene persino che non tre, ma sette canzoni su dieci dovrebbero essere italiane; si rallegra il cantautore Mogol, presidente della Siae, che al Quotidiano Nazionale commenta: “Era ora, abbiamo aspettato anche troppo”. Altri, invece, accusano l’esponente del Carroccio, tra l’altro, di voler cavalcare l’onda di polemiche sulla vittoria al Festival di Sanremo del cantante italo-egiziano Mahmood. In Terris lo ha intervistato.

On. Morelli, è sbagliato considerare la sua proposta una risposta al voto della giuria del Festival?
“La nostra è una risposta ai giovani talenti che faticano ad avere visibilità in radio e a tutte quelle persone che ogni giorno lavorano per il mercato della canzone italiana, che è un pilastro della nostra cultura. Abbiamo presentato la proposta di legge il 6 febbraio, prima della vittoria di Mahmood”.

Nella proposta non c’è alcun richiamo al fatto che i testi debbano essere in lingua italiana…
“Vogliamo premiare la creatività italiana e promuovere i giovani. Con la nostra proposta abbiamo posto le basi per una discussione più ampia”.

Potrebbe essere accusato di sciovinismo. Cosa risponde?
“Che siamo nel 2019 ed eviterei di ritornare sempre ai concetti dei secoli scorsi. Di riservare quote italiane nelle radio se ne parla da anni, lo ha fatto pure il Pd con Dario Franceschini. Noi lo abbiamo concretizzato in una proposta di legge, che quindi si rivela un’occasione per tutti”.

Non crede che una simile legge, se approvata, toglierebbe competitività alle nostre produzioni musicali e dunque stimoli a migliorarsi?
“Se non hanno abbastanza spazio come fanno le nostre produzioni ad essere competitive? I tanti giovani che desiderano promuovere il loro talento e le piccole produzioni al momento sono scoraggiati. È giusto far passare il messaggio che le opportunità ci sono per i nostri talenti, questo significa dare vita alla competizione”.

Finora hanno aderito anche parlamentari di altri schieramenti?
“Ci stiamo lavorando. Noi ci auguriamo che si apra una discussione sulla creatività e la cultura italiana e, dal momento che parliamo della nostra canzone, interessa tutti quanti”.