Ecco perché lo Stromboli spaventa il Meridione

Lo chiamano Iddu gli abitanti di Stromboli, quel vulcano che, alle 12.17 di mercoledì scorso, ha oscurato il sole di mezzogiorno con una nube di lapilli e cenere. Sono trascorsi 57 giorni dall'ultima, maxi eruzione registrata a Ginostra che ha ucciso l'escursionista Massimo Imbesi, colto di sorpresa sulle pendici del vulcano. Due giorni fa quella stessa paura si è rinnovata negli occhi e nella voce dei turisti atterriti dal boato e dalla cenere che avanzava lungo la Sciara del fuoco, la zona dove ricadono i prodotti chiroplastici e in cui l'attività eruttiva del vulcano lascia le tracce più evidenti: una cicatrice di magma su un lato della montagna che prosegue negli abissi, a circa duemila metri sotto il livello del mare. “Stromboli non riguarda soltanto la parte subaerea, ma soprattutto qualla sottomarina” spiega Piergiorgio Scarlato, primo ricercatore dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, esperto di vulcani: “la Sciara del fuoco continua sott'acqua e dobbiamo tenerne conto quando si parla dei maremoti connessi”. Quest'ultima volta, le sirene antitsunami, installate nel 2002 e collegate alle boe di rilevazione di onde anomale, hanno invitato i bagnanti a lasciare le spiagge e correre verso i punti di raccolta. Gli abitanti dell'isola sono abituati ai “capricci” affannosi di Iddu, ma stavolta l'allerta riguarda il livello sottomarino, spesso non ravvisabile da terra eppure con potenziali effetti di una certa entità. Scarlato lavora a Stromboli e conosce bene l'attività eruttiva di quel vulcano che gli antichi Greci chiamavano “trottola“.

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L'eruzione dello Stromboli vista dal mare lo scorso 28 agosto

Dott. Scarlato, cosa sta accadendo sull'isola?
“Le recenti eruzioni sullo Stromboli ricadono nell'usuale attività di un vulcano esplosivo in cui si alternano esplosioni ordinarie, caratterizzate da eventi a bassa energia, ad eruzioni più violente, intense. Nello specifico dello Stromboli, si registrano due tipi di eventi: le 'esplosioni maggiori' e i cosiddetti 'parossismi'. Nella natura degli eventi parossistici, che avvengono in media ogni 5/6 anni, rientrano quelli del 3 luglio e del 28 agosto. Si tratta di eventi più rari, con l'emissione di magmi e gas che possono raggiungere i 3 e 4 chilometri d'altezza sopra il vulcano e la cui ricaduta può raggiungere il livello del mare”.

Questo cosa significa?
“Che in tali esplosioni il materiale chiroplastico non rimane confinato all'area sommitale del vulcano, ma si può avere un impatto anche a bassa quota, arrivando a interessare le infrastrutture e la popolazione che vive nei centri abitati”.

Qual è lo “stato di salute” del vulcano?
“A ora, non siamo in grado di prevedere anomalie o altre esplosioni. È indubbio che lo Stromboli stia vivendo una fase che non conoscevamo da quando l'isola è diventata una meta turistica. Ma, nello stesso tempo, questi eventi rientrano nella storia geologica del vulcano e non sono da vedere come anomalie”.

A quando risalgono le ultime eruzioni?
“I precedenti risalgono al 15 marzo 2007 e al 5 aprile 2003. Ed è normale che gli ultimi due eventi parossistici siano vicini. Per giunta, attualmente non c'è un cambio significativo nei segnali, anche se, dopo l'evento del 28, vi sono state delle esplosioni maggiori e continua ad esserci un'attività ordinaria molto forte che, presumibilmente, continuerà. Si registrano, invece, delle modificazioni dei crateri sommitali a causa delle esplosioni”.

In passato lo Stromboli è stato così attivo?
“Da quando v'è stato il boom turistico – dopo gli anni Cinquanta -, il vulcano si è stabilizzato su un'attività ordinaria che ha permesso la crescita dei flussi turistici nell'isola. Eppure in passato, tra 1900 e 1950, l'attività dello Stromboli era molto violenta. Adesso, invece, siamo tornati a una fase più vicina a quella precedente agli anni Cinquanta”.

La prima pagina de Il Mattino Illustrato sull'eruzione dello Stromboli negli anni Trenta

Pericolo tsunami

Intanto, Carlo Doglioni, presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e di Vulcanologia, ha spiegato che un'eruzione violenta del vulcano potrebbe generare onde anomale “ben più distruttive” delle precedenti. Il ricordo va in Indonesia quando, il 22 dicembre scorso, il vulcano Krakatoa collassò di oltre 200 metri generando onde con picchi oltre venti metri, che causarono centinaia di vittime.
Le eruzioni avvenute in passato hanno reso il fondale sotto la Sciara del fuoco particolarmente instabile: è questo che preoccupa gli esperti. Alessandro Amato, Responsabile del Centro Allerta Tsunami di origine sismica dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, sottolinea come il monitoraggio di situazioni instabili a livello sottomarino sia poco efficace a prevedere possibili onde anomale. 

Dott. Amato, c'è dunque un rischio tsunami?
“Sullo Stromboli, così come su altri vulcani come il piccolo Krakatoa, c'è il rischio di tsunami collegati a collassi nel mare. Stromboli ha, peraltro, una storia di eventi e collassi legati a maremoti. Alcuni colleghi ricercatori hanno, infatti, pubblicato uno studio che ha individuato tre episodi di maremoto collegati ad attività vulcaniche presumibilmente “stromboliane”, le cui onde sono state registrate sulle coste campane. Addirittura, è stato documentato uno tsunami raccontato dal poeta Francesco Petrarca  durante il suo soggiorno a Napoli nel 1300. Gli altri due episodi attestati si registrano tra Medioevo e Rinascimento”.

Vi sono episodi di tsunami più recenti?
“Le ultime due eruzioni hanno generato piccoli tsunami. Quella del 28 è stata registrata a Ginostra, dove c'è un mareografo della rete ISPRA, collegato con il Centro d'allerta tsunami, che ha registrato un valore di altezza delle onde di circa 30/35 centimentri. Non è un'onda rilevante, ma fosse stata più grande, avrebbe avuto un potenziale più distruttivo. L'esplosione del 3 luglio, invece, è stata registrata anche da un mareografo sito a Reggio Calabria”.

C'è, quindi, il rischio di tsunami più importanti?
“Dopo l'evento del 2002, a seguito di un collasso in parte sottomarino, in cui le onde arrivarono a una quota topografica sull'isola di oltre 10 metri, il rischio c'è, se si considera gli episodi seri dei secoli scarsi. Magari potrebbe non accadere nei prossimi dieci o cento anni, ma il potenziale c'è. Qui, per giunta, stiamo parlando di una zona molto vicina tra la Sciara del fuoco e il porto di Ginostra, per cui sono percorsi che lo tsunami impiega qualche minuto a compiere prima di toccare terra”.

Il monitoraggio di sismi sottomarini è diverso da quelli che avvengono sulla terra?
“Diversamente dai terremoti, fare il monitoraggio degli tsunami da originati da vulcani è più difficile, perché non sono visibili ad occhio nudo e non sono subito rilevabili. Ci vorrebbero sistemi di boe, che purtroppo non abbiamo nei nostri mari”.

Come funzionano i sistemi di rilevamento tsunami?
“Si tratta di boe che hanno dei sensori di pressione in fondo al mare, che si accorgono quando v'è un passaggio anomalo di onde. Questi strumenti sono solitamente installati in aree dove il rischio tsunami è importante, come davanti alle coste di Giappone, Cile, Alaska, Indonesia. Dopo il terremoto di Sumatra nel 2004, questi sistemi sono stati implementati in alcune aree 'sensibili'. Nel Mediterraneo, invece, non ve ne sono, perché sono costose ed è difficile trovare finanziamenti”.

Che procedura si attua in caso di tsunami nel Mediterraneo?
“Se il sistema d'allerta locale, che nel caso dello Stromboli è gestito dall'Università di Firenze, funziona, c'è modo di allontanarsi dalla costa. Il pregio di Stromboli è che non è difficile recarsi in una zona topografica più alta in pochi minuti. Non si tratta di Ostia o Venezia, dove c'è un'area costiera molto estesa a bassa quota. Per questo, è molto importante valutare il materiale che attualmente è sulla Sciara del fuoco e potrebbe franare. Si sta persino valutando la possibilità di altre esplosioni importanti”.

Quali sono le aree a rischio, nel caso di uno tsunami generato dallo Stromboli?
“Da Stromboli, le coste più vicine sono quelle della Calabria meridionale. Stando ai rilievi, un forte tsunami originato da un'esplosione a Stromboli, impiegherebbe tra i dieci e i quindici minuti. Per arrivare in Sicilia, si calcola qualche minuto in più. Le aree direttamente a rischio sono le isole Eolie. Per arrivare a Palinuro, invece, un'onda anomala impiegherebbe tra i venti e i trenta minuti. Per questo, sono importanti automatismi d'allarme installati nell'area”.

A che stadio è il monitoraggio degli eventi sismici collegati al mar Mediterraneo?
“Le iniziative volte a istituire organi competenti sono recenti. Noi, per esempio, siamo stati istituti ufficialmente da una direttiva del Presidente del Consiglio del 2017 che si chiama Sistema d'allertamento per i maremoti di origine sismica. Si tratta di un passo importante. Manca, però, la consapevolezza della percezione dei rischi effettivi di uno tsunami nei nostri mari. Pensi, che non esiste un sistema che, in caso di onde anomale, allerti direttamente i cittadini. La consapevolezza, inoltre, si riflette anche nelle attività di monitoraggio, che spesso richiedono invesitmenti che non abbiamo. La stessa direttiva che menzionavo, per esempio, dice che la cosiddetta attività di national tsunami warning center viene creata in 'varianza di bilancio', vale a dire sulla base dei finanziamenti irrorati dal Dipartimento della Protezione Civile che coordina l'intera iniziativa. Attualmente, non vi sono cifre in gioco che permettono ingenti investimenti”.

Il bollettino d'emergenza che la Protezione Civile ha distribuito agli abitanti dell'isola di Stromboli