Derby latino sulle vongole

Duello latino a sfondo gastronomico. Nell’antica Roma non potevano certo prevedere che, in pieno “Mare nostrum” e in punta di diritto, si sarebbe combattuta duemila anni dopo una guerra commerciale tra due sponde del Mediterraneo unite dall’appartenenza comunitaria ma divise da interessi economici.

Questione di centimetri

L’oggetto del contendere è un mollusco parimenti ricercato e apprezzato sulle tavole italiane e iberiche. E così, più in Spagna che in Italia per la verità, tiene banco sui mass media la disfida “sovranista” sulle vongole tra i due paesi più importanti dell’Europa meridionale. Finora, poi, ha potuto ben poco la mediazione comunitaria per mettere pace tra partner Ue. “L'Adriatico è l'unico mare dove è consentita la pesca di esemplari sotto i 25 millimetri – riferisce l’Agi -. Le ragioni sono ambientali, più che economiche. Ma i deputati spagnoli sono pronti a dare battaglia”.

Le origini della controversia

A giugno 2016 una direttiva europea aveva stabilito di non portare a terra esemplari più piccoli di 25 millimetri, misura ritenuta necessaria per evitare che la pesca impattasse troppo sugli ecosistemi marini. La protesta italiana portò ad una deroga del divieto. Infatti la vongola adriatica è spesso inferiore ai 25 millimetri. Il divieto avrebbe mandato in frantumi un intero settore, che attualmente conta circa 700 imprese per un totale di 1.600 addetti. Dunque, tra Italia e Spagna è esplosa la guerra delle vongole. Come riporta il Sole 24 Ore, il mare Adriatico è l’unico in Europa dove è possibile pescare questi molluschi anche quando hanno dimensione inferiore ai 25 millimetri. Un’esenzione che è stata ottenuta dall’Italia grazie ad una deroga ottenuta nel 2017 dopo una lunga protesta dei pescatori di Venezia e Chioggia.

Scende in campo la politica

Di qui la protesta dei pescatori spagnoli, grandi produttori di vongole insieme agli italiani, e che con gli italiani si contendono il primato della produzione europea del mollusco. La battaglia si è spostata nel Parlamento europeo, con i deputati spagnoli sul piede di guerra, spiega il quotidiano della Confindustria. A due anni dalla deroga, che consentiva la pesca di esemplari di taglia superiore ai 22 millimetri, l’Europa ne ha concessa un’altra visto che la prima non ha rovinato per nulla l’Adriatico del Nord in questi anni di pesca, come hanno rilevato i tecnici della Scientifi​ca. Se la Spagna dovesse riuscire nell’intento di coagulare una maggioranza di due terzi a Strasburgo, l’Italia tornerebbe indietro al 2015, evidenzia il Sole, quando rischio di veder implodere la produzione di vongole nazionale, schiacciata dalla concorrenza spagnola.

Gestione della pesca nell’Ue

La guerra delle vongole tra Spagna e Italia arriva al Parlamento europeo”, riferisce il Corriere della Sera, dando voce alle contrapposte ragion dei due Paesi, che si contendono il primato per la produzione europea di molluschi bivalvi. Nell’Unione Europea è in vigora la politica comune della pesca (Pcp) che consiste in una serie di norme per la gestione delle flotte pescherecce europee e la conservazione degli stock ittici. Il suo obiettivo è gestire una risorsa comune, dando a tutte le flotte europee un accesso paritario alle acque dell’UE e permettendo ai pescatori di competere in modo equo. All’Italia nel 2017 è stata concessa una deroga per la pesca di vongole di 22 mm, perché è stato certificato che nell’Adriatico i molluschi sono naturalmente di dimensioni inferiori. La deroga ha durata triennale ed è stata riconfermata per un altro anno, fino al 2020. “Anche in base a una serie di studi che ha certificato che la pesca di vongole tra i 22 e i 25 mm non ha causato danni o alterazioni all’ecosistema adriatico – precisa il Corriere -. I pescatori andalusi non ci stanno, e hanno spinto gli eurodeputati spagnoli a portare il caso al Parlamento europeo, che dovrà pronunciarsi entro il 28 ottobre per decidere se confermare la deroga concessa all’Italia dalla Commissione Ue o appoggiare il ricorso dei pescatori iberici”.

Le difficoltà di una gestione comune

A difendere le imprese ittiche italiane c'è la deputata della Lega, Rosanna Conte, coordinatrice del gruppo Identità e Democrazia nella Commissione Pesca di Strasburgo, e Giuseppe Ferrandino, vicepresidente del Pd nella stessa Commissione.  Da inizio ottobre, riferisce il Corriere, diverse marinerie dell'Adriatico sono in sciopero per chiedere l'approvazione della deroga: circa 200 pescatori pugliesi hanno fermato i pescherecci per alcuni giorni per protestare contro una situazione considerata ansiogena: “Siamo tartassati da adempimenti e norme sempre più stringenti che di fatto non ci permettono più di pescare. I verbali sono continui. A peggiorare questa situazione, l'arrivo di pescato estero che arriva sui banchi di vendita e si attua una concorrenza che noi consideriamo sleale. Il nostro pescato ha una qualità superiore e di conseguenza il prezzo è maggiore”.

Norme e sostenibilità

Gli stock ittici possono ricostituirsi, ma sono limitati e in alcuni casi sono oggetto di sovrasfruttamento. Di conseguenza, i paesi Ue hanno preso delle misure per garantire che l’industria europea della pesca sia sostenibile e non minacci nel lungo termine le dimensioni e la produttività della popolazione ittica. La politica comune della pesca è stata introdotta per la prima volta negli anni 70 e aggiornata a più riprese. L'ultimo aggiornamento è entrato in vigore il 1° gennaio 2014. La Pcp mira a garantire che la pesca e l'acquacoltura siano sostenibili dal punto di vista ecologico, economico e sociale e che rappresentino una fonte di alimenti sani per i cittadini dell’Ue. L'obiettivo è promuovere un’industria ittica dinamica e garantire alle comunità di pescatori un tenore di vita adeguato. Sebbene sia importante massimizzare le catture, occorre porvi dei limiti. È necessario garantire che le pratiche di pesca non impediscano ai pesci di riprodursi. L'attuale politica impone di fissare per il periodo 2015-2020 dei limiti di cattura sostenibili che assicurino nel lungo termine la conservazione degli stock ittici. “Non abbiamo ancora un'idea chiara dell’impatto della pesca sul fragile ambiente marino- spiegano i responsabili-. Per questo motivo, la Pcp adotta un approccio prudente che riconosce l’impatto delle attività umane su tutte le componenti di questo ecosistema Le flotte pescherecce dovranno applicare sistemi di cattura più selettivi e abolire progressivamente la pratica del rigetto in mare delle catture indesiderate”.