Decreto Dignità: “punto di inizio” o “solo propaganda”?

L’approvazione in Consiglio dei ministri del Decreto Dignità è stata accompagnata da squilli di tromba da parte del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. È un “colpo mortale al precariato”, ha tuonato. E ancora: “Così licenziamo il jobs act”. Al di là dei proclami, questo primo segnale di politica economica del governo Lega-M5s che effetti pratici avrà sul mondo del lavoro?

In Terris ne ha parlato con due osservatori, di pareri non esattamente allineati tra loro. Si tratta di Francesco Seghezzi, giovane economista classe ’89, editorialista presso diverse testate e direttore di Fondazione Adapt (Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali), e di Paolo Becchi, professore di Filosofia del diritto, volto televisivo, considerato fino al 2015 l’ideologo del M5s.

I dati Istat fotografano un aumento degli occupati, ma più precari. Può essere un deterrente contro la precarietà aumentare i costi alle aziende per le assunzioni a termine, come prevede il Decreto Dignità?

Seghezzi: “Non credo che l’equazione lavoro a termine-precariato sia sempre corretta. Per cui è vero che sono aumentati i lavoratori a termine, ma non è detto che questi siano tutti precari. A mio avviso l’intervento da fare è sulla durata dei contratti, rendendo più costosi per le aziende quelli brevi o proibendo quelli troppo brevi, reintroducendo magari i voucher. E non è ciò che si fa nel Decreto Dignità, dove si alza il costo solo quando un contratto viene rinnovato”.

Becchi: “Il tentativo di ridurre il più possibile i contratti a tempo determinato è un buon segnale. Mi sarei aspettato, tuttavia, un intervento più incisivo contro il Jobs act, sul tema del licenziamento illegittimo: viene soltanto ritoccato l’importo delle indennità previste in caso di licenziamento senza valida giustificazione, mentre il reintegro resta una chimera. Così come sul tema del fisco, sugli studi di settore e i redditometri: sono misure che andrebbero abolite, invece il decreto prevede soltanto piccoli interventi”.

Nel mondo di internet, della fluidità, delle occupazioni a brevissimo termine, quanto è alto il rischio che si dissolvano le regole e le tutele dei lavoratori?

Seghezzi: “Rispetto alla spinta dell’innovazione tecnologica e ciò che può generare, non ho dubbi che le tutele dei lavoratori possano essere intaccate se non si regolamenta il fenomeno. Per questo io introdurrei il tema delle politiche attive del lavoro, di come gestire le transizioni. Oggi sono sempre più diffusi i lavori brevi, discontinui: o li proibiamo, ma mi pare difficile farlo, oppure dobbiamo individuare le modalità per accompagnare i lavoratori all’interno di questo nuovo percorso”.

Becchi: “Il rischio è sempre più concreto e le persone lo percepiscono. È per questo che forse si sarebbero aspettate misure più forti da questo decreto, un po’ come le risposte che sta dando Salvini sul tema dell’immigrazione clandestina. Per ora, in tema di lavoro, la montagna ha partorito il topolino. Però bisogna anche riflettere sulle alternative: se non avessimo avuto questo governo, avremmo avuto Cottarelli, un altro esecutivo tecnico. Dobbiamo avere pazienza, è comunque positivo che il suo primo decreto riguardi il tema del lavoro, non il salvataggio delle banche”.

Sul tema delle delocalizzazioni, ritiene giusto porre un freno con le sanzioni e togliendo gli aiuti di Stato?

Seghezzi. “È un tema di cui non mi occupo. Mi sembra comunque complicato applicare queste sanzioni anche verso chi delocalizza nell’Unione europea, credo si possa incorrere in qualche problematica di diritto comunitario. E poi non è detto che chi licenzia sia in malafede e abbia approfittato degli aiuti di Stato sapendo che poi avrebbe chiuso”.

Becchi: “Sanzionare le imprese che decidono di delocalizzare è un’azione nuova, positiva. Essa dimostra che c’è l’intenzione di questo governo di attuare una inversione di tendenza rispetto al passato: mai nessuno finora era intervenuto su questo tema fondamentale”.

In sette anni è la terza riforma del lavoro o comunque il terzo intervento in materia. Come se lo spiega?

Seghezzi: “Mi permetta un gioco di parole: non darei la dignità del termine riforma al Decreto Dignità. È un intervento molto marginale, a costo zero, senza progettualità: dunque è l’azione più facile che un esecutivo possa fare. Il problema, però, è che non ci si preoccupa delle conseguenze: ad esempio con l’inserimento della causale (obbligo di specificare le mansioni del lavoro a termine, ndr) nel rinnovo contrattuale, è alto il rischio che si alimentino i contenziosi legali, che negli ultimi anni erano diminuiti. È un decreto più di impatto comunicativo che sostanziale, che non affronta le grandi trasformazioni del mercato del lavoro”.

Becchi: “Il Decreto Dignità anziché una riforma del lavoro è piuttosto il tentativo di bloccare dei meccanismi del Jobs act e delle riforme del lavoro del passato che erano micidiali nei confronti dei lavoratori. Sul tema del lavoro il decreto è un primo passo, positivo”.

Secondo lei i mercati come reagiranno a questo governo nei prossimi mesi?

Seghezzi: “Il ministro dell’Economia Tria continua a elargire prudenza e volontà di mantenere i conti in equilibrio. E non mi pare che i fatti lo smentiscano: ad oggi si sta facendo molta propaganda ed attività politica a costo zero. Finché la situazione rimarrà questa, credo che i mercati non avranno scossoni”.

Becchi: “Non sarà il Decreto Dignità a smuovere i mercati. I problemi, piuttosto, potrebbero nascere nel momento in cui il governo dovesse compiere azioni più incisive. Lo abbiamo già visto durante la sua formazione, con lo spread che era tornato a salire… Io credo che ci aspettano mesi difficili: quando la Bce smetterà di acquistare titoli di Stato, a gennaio, il Paese si troverà impreparato. Per questo è importante il ruolo del ministro Tria, che a mio avviso dovrebbe emettere i minibot, per risolvere il problema del pagamento dei debiti che le amministrazioni pubbliche hanno con le imprese. Il punto è che questo tipo di azioni, più incisive, si fanno solo se si ha il coraggio di sforare i criteri di Maastricht. Se non si avrà questo coraggio, cambierà ben poco. Ripeto: il Decreto Dignità può essere un buon punto di inizio, non un punto di arrivo”.