Cyberspionaggio, i fratelli Occhionero si difendono: “Mai rubato dati”

Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha disposto l’avvicendamento al vertice della Postale destinando a nuovo incarico l’attuale direttore Roberto Di Legami. Tra i motivi della decisione anche l’aver sottovalutato l’indagine sul cyberspionaggio che martedì ha portato all’arresto di Giulio e Francesca Maria Occhionero. I due per anni hanno spiato politici, istituzioni e pubbliche amministrazioni. Per conto di chi non è ancora chiaro. Cercheranno di scoprirlo gli investigatori del Cnaipic (il Centro nazionale anticrimine informatico della Polizia postale) che indagano sulla vicenda.

Durante i primi interrogatori nel carcere di Regina Coeli i due fratelli si sono difesi. “Non abbiamo mai rubato dati né svolto attività di spionaggio – hanno detto – gli indirizzi mail sono pubblici e alla portata di tutti e non c’è alcuna prova di sottrazione di dati da parte nostra”. Stefano Parretta, legale di Giulio Occhionero ha spiegato: “Il mio assistito nega di aver fatto attività di spionaggio, i server all’estero li aveva per lavoro”.

L’indagine

Ai due vengono contestati i reati di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico aggravato ed intercettazione illecita di comunicazioni informatiche e telematiche. Il Cnaipic ha accertato che i due fratelli gestivano una rete di computer (botnet) – infettati con un malware chiamato “Eyepyramid” – che avrebbe loro consentito di acquisire, per anni, notizie riservate e dati sensibili di decine di persone che, a vario titolo, gestiscono la funzione pubblica e delicati interessi, soprattutto nel mondo della Finanza.

Allarme

La vicenda, che sta diventando la prima grande spy story italiana, allarma la politica. Il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, ha parlato di “aggressione alla libertà e alla privacy” e invocato una “cooperazione tra le polizie europee per combattere un fenomeno non proprio nuovo ma che ora si manifesta in forme più moderne“. Non commenta Matteo Renzi, uno dei politici finiti nel mirino dei due hacker. Ma l’ex premier, a chi lo conosce, avrebbe espresso l’auspicio che l’indagine vada avanti per fare luce su un caso inquietante. No comment anche da Mario Monti, altro obiettivo dei pirati informatici, almeno fino a quando non emergeranno nuovi e più rilevanti dettagli. Preoccupato per la sicurezza nazionale è, invece, Angelo Tofalo, deputato del M5s e componente del Copasir che su Facebook afferma: “Seguirò e attenderò non poca apprensione l’esito delle indagini. Per ora abbiamo chiesto che il Copasir segua tutta la vicenda nei dettagli e venga costantemente aggiornato. In gioco c’è la sicurezza della nostra Repubblica”. Ettore Rosato del Pd ha espresso inquietudine per il fatto che “altissime cariche dello Stato, come l’allora premier Renzi e il governatore Mario Draghi siano state oggetto di spionaggio. Confidiamo che l’azione degli inquirenti vada fino in fondo nella verifica di quanto accaduto e nell’utilizzo delle informazioni oggetto di dossieraggio”. L’ex ministro delle Difesa Ignazio La Russa ha provato a fare una distinzione tra lo spionaggio fatto a danno delle Istituzioni e la trasparenza che invece deve avere un parlamentare: “Si devono preoccupare le Istituzioni perché è grave che siano intercettate. A me come deputato la cosa non angoscia anche perché credo che un parlamentare debba essere trasparente, se me lo avessero chiesto gli avrei dato tutto gratis”, una disponibilità che però precisa il deputato di Fratelli D’Italia deve avere precisi paletti: “Mi dispiacerebbe però se avessero spiato la mia vita privata entrando negli account di mia moglie o dei miei figli come avveniva nella Germania dell’Est ai tempi del comunismo descritto molto bene nel film ‘Le vite degli altri'”.

La lista

La lista dei personaggi e delle istituzioni spiate è lunga, oltre agli ex premier Renzi e Monti e al presidente della Bce, Mario Draghi, ci sono Piero Fassino, Paolo Bonaiuti, Mario Canzio, Vincenzo Fortunato, Fabrizio Cicchitto. Ma anche i collaboratori del card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie: in pratica il “ministro della Cultura” della Santa Sede e tra i massimi intellettuali della Chiesa cattolica. Non solo. Le intromissioni telematiche hanno riguardato anche i computer della “Casa Bonus Pastor“, struttura alberghiera di proprietà del Vicariato di Roma, in zona extraterritoriale lungo la Via Aurelia, a ridosso delle Mura vaticane, che oltre a pellegrini e turisti ospita spesso anche alte personalità religiose nei loro soggiorni romani. Gli accertamenti sono comunque ancora in corso, e tra le decine di migliaia di username e password trovate in possesso degli indagati altre novità potrebbero emergere.