Celiachia, aziende a processo per la truffa alle Asl

Per chi ne è affetto è un motivo di costante preoccupazione perché ogni alimento può diventare un pericolo e perciò occorre selezionare con la massima attenzione ciò che può finire nel piatto. Per qualcuno, invece, la celiachia era diventata una straordinaria occasione di guadagno illegale.

Società specializzate

La Regione Lazio si costituirà parte civile nel processo a carico dei responsabili di una truffa in merito ad un sistema di false attestazioni sui prodotti per celiaci da parte di due società che duplicavano i buoni per i rimborsi dei prodotti per celiaci incamerandone illegalmente i relativi rimborsi spese. “Queste truffe vanno stroncate poiché si arreca un danno in primo luogo ai malati e poi alle casse della Sanità regionale. Si tratta di un crimine odioso e dovranno restituire al sistema sanitario regionale fino all'ultimo centesimo di ciò che è stato indebitamente sottratto”, commenta l'assessore alla Sanità e l'integrazione sociosanitaria della Regione Lazio, Alessio D'Amato. Un doppio sequestro da quasi un milione di euro è stato eseguito a Roma ai danni di due società specializzate nella vendita di prodotti per celiaci. I responsabili delle due imprese avrebbero, secondo la procura di Roma, ottenuto “con artifici e raggiri” rimborsi non dovuti dalla Regione Lazio e per questo sono indagati per truffa aggravata ai danni dello Stato. In particolare sono stati sequestrati 197.145,08 euro ad una società  e 753.560,49 euro ad un’altra. Le due imprese avrebbero truffato le Aziende sanitarie locali di riferimento utilizzando buoni duplicati, richiedendo importi superiori a quelli spettanti, presentando fatture di importo superiore rispetto ai prodotti realmente venduti. Da malattia rara a malattia cronica: quarant'anni fa la celiachia era sconosciuta, potevano passare molti anni prima di arrivare alla diagnosi e veniva riconosciuto appena un caso su mille. Ora le diagnosi sono triplicate, si identifica un caso ogni 286 e in questi quattro decenni 200.000 italiani hanno potuto dare un nome a dolori quotidiani trovando finalmente una cura per la loro malattia. Ma c'è ancora molto da fare: sono infatti 400mila gli italiani celiaci che non sanno ancora di esserlo.

Pazienti “sommersi”

A richiamare l’attenzione su questi pazienti “sommersi” è l'Associazione italiana celiachia (Aic),  “Negli ultimi quarant'anni le storie dei celiaci sono per fortuna molto cambiate. Quattro decenni fa erano storie di persone che lottavano per anni con sintomi che nessuno sapeva riconoscere: bambini che non crescevano, donne che non riuscivano ad avere figli senza un perché, persone in costante lotta con il sottopeso – spiega all’Ansa Giuseppe Di Fabio, presidente Aic -. Oggi, invece, i pazienti con i sintomi classici vengono riconosciuti molto velocemente, nei bambini a volte si pone la diagnosi anche prima di un anno di vita. Ciò significa poter vivere in modo normale e senza disturbi con la dieta di esclusione, ovvero con prodotti senza glutine presenti non più solo in farmacia ma in abbondanza in tutti i supermercati e nei negozi specializzati”. Tuttavia non mancano le ombre: la diagnosi non è ancora un nodo risolto e solo il 30% dei pazienti risulta diagnosticato rispetto a una popolazione attesa di 600.000 celiaci. La diagnosi precoce di celiachia “è una forma indispensabile di prevenzione ed è perciò fondamentale: il celiaco inconsapevole che assume glutine si espone a complicanze anche gravi, spesso irreversibili, che ne compromettono la salute e gravano sull'intera collettività per i costi sanitari e sociali che ne derivano – precisa Marco Silano, coordinatore del Comitato scientifico di Aic -.Purtroppo oggi esiste il fenomeno dei “pazienti camaleonte” e sono quelli che dobbiamo scovare: si tratta di persone con sintomi non classici della celiachia e inizialmente non riconducibili a questa patologia, dall'osteoporosi all'infertilità, e i medici devono essere 'allenati' a sospettare la celiachia di fronte a questi sintomi”.

Terapia dietetica

L’Aic sta promuovendo un progetto di formazione e aggiornamento in tutta Italia che coinvolge circa 2000 medici di famiglia, pediatri, specialisti e dietisti. Come ogni anno, inoltre, Aic sarà impegnata nella Settimana della Celiachia per informare e sensibilizzare i cittadini sulla malattia. “Le tante iniziative di informazione non ci distraggono però da un altro obiettivo fondamentale di Aic, ovvero far sì che i pazienti vedano garantito il loro diritto alla diagnosi precoce ma anche alla terapia dietetica – osserva Di Fabio -. E' necessario per questo garantire la sostenibilità dell'assistenza, creando un modello digitale con buoni elettronici in tutta Italia (sistema già attivo in 7 regioni), più razionale e più economico, verificando ogni possibilità di riduzione del costo dei prodotti, già in calo negli ultimi anni”. Italia, riferisce La Stampa, capitale del senza glutine: un affare da 300 milioni con un boom di prodotti, dai 280 del 2001 ai 6500 di oggi. Ma gli alimenti in Italia costano di più che all’estero e sono più cari nelle farmacie che al supermercato. “Come può la patria indiscussa di pane, pasta e pizza, essere descritta come un paradiso per i celiaci?- si chiede il quotidiano diretto da Maurizio Molinari-. Chi deve rinunciare al glutine, sostanza proteica contenuta nei cereali, è destinato a veder sfilare davanti a sé un’infinità di prelibatezze bandite. Niente colazione con cappuccio e cornetto, niente pizzeria con gli amici, scordatevi le spaghettate di mezzanotte e anche il panino in autogrill. Considerato che l’unica soluzione possibile è eliminare del tutto il glutine dalla propria dieta, più che un paradiso somiglia a una corsa a ostacoli tra le più terribili tentazioni”.

Sussidi per il “gluten free”

Sarà proprio perché non poter mangiare pane né pasta pare una condanna, ma il nostro Paese ha riservato al problema una straordinaria attenzione, nata già all’inizio degli Anni Ottanta. Attenzione che è cresciuta con costanza, come dimostrano le diagnosi che crescono a un ritmo sostenuto e la disponibilità dei prodotti dietetici, negli ultimi dieci anni più che decuplicata. “È sempre più facile trovare sia ristoranti che pizzerie che si premurano di offrire un’alternativa “senza” e siamo primi in Europa tra i consumatori di prodotti gluten free- osserva La Stampa -. Con un ma. I prodotti in Italia costano di più che all’estero, e sono più cari nelle farmacie che al supermercato. Malta e Italia sono infatti gli unici Paesi che per garantire ai celiaci “un’alimentazione equilibrata” danno un sussidio per l’erogazione gratuita dei prodotti gluten free”. Dal 1982 il ministero della Salute prevede un bonus mensile, che cambia a seconda di età, sesso e Regione, da spendere in farmacia per fare scorta di prodotti dietetici. Con il decreto Veronesi del 2001, sono nati anche i “negozi specializzati”, dedicati esclusivamente ai prodotti contrassegnati dalla spiga barrata. Nel 1972 un gruppo di genitori di bimbi celiaci fondò l’Aic, l’Associazione italiana celiachia, ancora oggi attiva.

1% della popolazione

Anche se il ministero della Salute stima che l’1 per cento della popolazione italiana sia celiaca, vale a dire circa 600 mila persone, secondo la relazione annuale del Parlamento a oggi i casi diagnosticati sono 182.858. Solo otto anni fa, erano meno della metà. “Le diagnosi galoppano con aumento di oltre il 10 per cento di anno in anno- sottolinea La Stampa-.Due terzi sono donne, al primo posto si trova la Lombardia, seguita da Lazio e Campania. Funziona così: il celiaco dispone di un bonus mensile di circa 140 euro, che può spendere nella sua Regione per i prodotti sostitutivi”. La cifra è stata fissata dal legislatore nel 2001 sulla base dei fabbisogni calorici giornalieri, intendendo che dovessero coprire solo il 35% del fabbisogno complessivo del celiaco. “Nei primi Anni Novanta c’erano solo desolanti scaffali popolati da fette biscottate, pastina da minestra e biscottino granulato per i bimbi Biaglut, un marchio del colosso dell’agro alimentare Newlat- osserva il quotidiano torinese-. Qualche tempo dopo fece la sua comparsa la Dr. Schär, che oggi copre circa il 46 per cento del mercato italiano. Chi scrive, fa la spesa in farmacia da una trentina d’anni: nel 2001 il Registro nazionale dei prodotti celiaci contava 281 alimenti”. 

In farmacia

In una farmacia di media dimensione c’erano due tipi di biscotti, uno con cioccolato e l’altro senza. Il pane in cassetta, spaghetti e fusilli, le fette biscottate. E poi la farina, difficile se non difficilissima da usare: il glutine è la proteina che riesce a dare struttura e coesione ai farinacei, così anche una banale torta alle mele si rivela un’impresa di fine ingegneria. Dieci anni dopo, i prodotti erano poco meno di tremila. Tra il 2012 e il 2016 sono triplicati: secondo l’ultimo aggiornamento, pubblicato il mese scorso, sono circa 6.500. Si può spaziare tra 300 biscotti, 600 diversi tipi di pasta, 50 di taralli e 40 di panettoni. Da occupare con mestizia un paio di scaffali, i prodotti con la spiga barrata si sono moltiplicati fino a diventare dei mini market ospitati dalle farmacie in cui si trova di tutto: olive ascolane, cotoletta impanata, la birra – che però non è compresa tra gli erogabili – e anche prodotti che di glutine in natura non ne hanno, come biscotti di mais e farina di riso, croccante alle mandorle. Assolutamente concessi nella dieta del celiaco, ma con una garanzia in più: nel processo di produzione non c’è alcuna contaminazione, e quindi non sono solo sicuri, ma sicuri con certificazione. Sono oltre trecento le aziende autorizzate a vendere i propri prodotti in farmacia.

I big del mercato

Tra i principali player del mercato dietro a Dr. Schär ci sono il gruppo internazionale Heinz e la società farmaceutica Giuliani. Nel 2014 il Servizio sanitario nazionale ha destinato ai bonus per i celiaci circa 240 milioni di euro, a fronte di un mercato complessivo stimato in 320 milioni. Tutto nel mondo del senza glutine porta il segno più, tranne il prezzo dei prodotti. Un chilo di pasta senza glutine costa in media otto euro al chilo. Un chilo di biscotti? Senza esagerare si sfiora una media di trenta euro. Anche la grande distribuzione si è accorta in fretta del mercato della celiachia, dal 2012 a oggi cresciuto di oltre l’80 per cento. Le vendite a valore sono passate da 57 milioni di euro a oltre 105 milioni in tre anni. In un’indagine Coop sulle categorie con le performance migliori, al primo posto ci sono i prodotti celiaci. Tutte le previsioni sono in rialzo. I prodotti salutistici, quelli che eliminano grassi e sostanze non salutari oppure elementi nutrizionali incompatibili con le esigenze di alcune persone intolleranti, sono sempre più presenti e apprezzati. Nel rapporto Nielsen “Gli italiani e la buona tavola” che analizza il segmento less is more, costituito da quegli alimenti “alleggeriti” di alcune sostanze e che quindi vengono percepiti, correttamente o meno, come più vantaggiosi per la salute, la crescita per i prossimi anni è costante e a doppia cifra. “Nonostante il boom del mercato celiaco, che coinvolge anche chi una diagnosi vera e propria non ce l’ha, il 75 per cento dei prodotti viene comunque acquistato in farmacie e negozi specializzati- precisa La Stampa-. Nelle farmacie i prezzi dei prodotti non sono esposti: con un bonus mensile, si bada di più alle preferenze di gusto e marca che al prezzo. Il cliente finale è lo Stato, per cui all’aumentare delle diagnosi e delle vendite di prodotti senza glutine il costo non diminuisce, perché le aziende produttrici non hanno nessun incentivo a fissare cifre più ridotte”. Anche se le materie prime non sono più care, pesano gli investimenti in ricerca e sviluppo, la necessità di creare linee produttive separate. E poi ci sono i costi burocratici legati all’inserimento del Registro Nazionale e alle certificazioni di idoneità.

La filiera di acquisto

La filiera di acquisto delle farmacie può essere anche molto lunga, perché passa dalle cooperative farmaceutiche che garantiscono alle diverse farmacie alcuni servizi, come la consegna di prodotti esauriti in brevissimo tempo. “Per i negozi specializzati il rifornimento richiede più tempo e più costi di gestione, perché devono fare l’ordine alle case produttrici rispettando anche dei minimi di acquisto per la consegna- documenta La Stampa-. Le grandi catene di supermercati invece possono acquistare notevoli quantità di prodotti. L’Osservatorio Aic ha realizzato rilevazioni nel 2011, 2013 e 2015 per monitorare la differenza di prezzo nei diversi canali, realizzando un paniere con i 12 prodotti più acquistati dai consumatori celiaci italiani”.

Rilevazione-pilota sui risparmi

Uno dei traguardi del sistema sanitario nazionale è l’aumentare delle diagnosi. I sintomi sono diversi, e non sempre facili da individuare: se trascurata, la celiachia può portare a conseguenze anche molto gravi, con una qualità di vita destinata a peggiorare sempre più. Insomma, la terapia, tutto sommato è semplice: basta eliminare il glutine dalla dieta. Ma se come auspicabile si arriverà a 600 mila diagnosi, potrà il Servizio sanitario nazionale sostenere la spesa? Ed è corretto che lo stesso prodotto costi di più per chi ne ha diritto, e di meno per tutti gli altri? Nella prima rilevazione, limitata a un numero ristretto di Regioni, il risparmio della grande distribuzione rispetto alla farmacia è in media di 20 euro e 70, nella seconda, estesa a tutto il territorio nazionale, il divario persiste. L’ultima indagine di Aic è del 2015 e tiene conto anche dei negozi specializzati, che risultano essere i più cari in assoluto. “Considerando il divario tra grande distribuzione e farmacie, l’andamento medio nazionale ruota intorno ai 12 euro e 60 centesimi: le Regioni con differenza minima sono Emilia Romagna (5,32) e Umbria (6,64 euro), quelle con forbice più ampia Toscana (21,05 euro) e Lombardia (18,43 euro)- precisa La Stampa-. Il divario insomma è diminuito, ma si è assestato al rialzo e non al ribasso: come dimostra la ricerca di Aic, con il tempo i prezzi della grande distribuzione sono aumentati, ed ecco perché si sono avvicinati a quelli delle farmacie”.