Boldrin: “Il reddito di cittadinanza? Uno spot elettorale”

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al cosiddetto “decretone” che introduce due delle misure-simbolo del nuovo governo: il reddito di cittadinanza e la quota 100 sulle pensioni. Si delinea, così, la politica economica dell'esecutivo gialloverde che – sondaggi alla mano – continua a godere della maggioranza del consenso popolare nel Paese. Non mancano, tuttavia, le perplessità di esperti del settore che hanno evidenziato i presunti punti deboli dei provvedimenti destinati ad entrare in vigore. In Terris ha voluto raccogliere il parere di una di queste voci critiche, quella dell'autorevole economista Michele Boldrin, professore alla Washington University in St Louis (negli Usa) e all'Universita’ Ca’ Foscari di Venezia.

 

Professor Boldrin, il reddito di cittadinanza dovrebbe partire ad aprile. E' stato annunciato che per la sua elargizione farà fede l'Isee e sarà vincolata alla partecipazione di corsi di formazione professionali obbligatori per evitare le frodi. Lei, da economista, che opinione si è fatto?
“La verità è che è un progetto elettorale, tant'è che parte ad aprile perchè a maggio si vota. Si tratta di un'operazione costruita per non durare e loro lo sanno benissimo perchè possono consultare i loro stessi numeri. Oggi come oggi, con i vincoli di debito e lo stato della spesa pubblica, lo Stato italiano non ha le risorse per pagare il reddito di cittadinanza come programma permanente di assistenza a meno di non aumentare drammaticamente le tasse su quelli che lavorano. Questo, però, non è possibile, quindi a mio parere si qualifica come una misura strumentale che mira ad influenzare gli elettori più ingenui in vista delle Europee”.  

Questo provvedimento è così lontano dall'imposta negativa sul reddito proposta da Milton Friedman? 
“Il reddito di cittadinanza nasce dal principio che tutti hanno diritto ad un reddito, qualunque cosa facciano. Quindi nessuno è obbligato a darsi da fare visto che sono gli altri che lo devono mantenere. Il principio di Friedman – ed anche il mio – invece è il seguente: ai meno fortunati occorre dare incentivi per aiutarli a fare del loro meglio. Se non c'arrivano, occorre dargli una mano a vivere degnamente con una tassa sul reddito negativo. Lo Stato ti dice: ' tu lavora e prova che ti stai dando da fare. Se fai troppo poco, invece di tassarti come chi guadagna, ti aggiungo qualcosa'”.

Crede che l'imposta negativa caldeggiata da Friedman sia realizzabile in Italia?
“Ci si può lavorare. Bisognerebbe cambiare quel pezzo di Stato che si occupa di politiche di lavoro e che si è dimostrato inadatto a farlo. La 'negative income tax' di Friedman è ben altra cosa rispetto al reddito di cittadinanza. Quest'ultimo, infatti, è una misura completamente folle”. 

Perchè?
“Basti pensare che dà l'incentivo alle aziende di assumere i neodisoccupati.  Lo Stato ti dice: 'hai 18 mesi di reddito, se trovi un posto di lavoro ciò che ti spetta viene dato come sussidio all'azienda'. Ti immagini che macchina impazzita di assunzioni e licenziamenti questo meccanismo rischia di creare?”

Qual è il suo giudizio sul previsto riordino dei centri dell'impiego?
“E' un'assoluta follia dilettantistica. Si sono inventati la figura del supertecnico, una brava e degna persona che ha fatto cose interessanti localmente in Mississipi, ma con risultati non troppo diversi da quanto avviene anche in Alabama, in Georgia e negli altri Stati confinanti”.

Pochi giorni fa Bankitalia ha reso noto che il debito pubblico italiano ha raggiunto una cifra record nel mese di novembre. Lei in passato ha sostenuto che il debito pubblico non è un problema: può spiegare perchè?
“In realtà io ho sempre usato il condizionale: Il debito pubblico non sarebbe un problema se non ci fosse un apparato dello Stato e governi – sia questo che i precedenti – che invece di operare per contenerlo, diminuirlo e renderlo stabile, continuano a farlo aumentare. Il debito pubblico si può gestire se la classe politica è consapevole, non è vero che di per sé impedisce la crescita. A bloccarla sono i metodi di utilizzo della spesa pubblica operati dalla classe di governo e dalla burocrazia; se si evitasse di fare disastri e di far aumentare lo spread di 200 punti, si risparmierebbe un 1% di Pil all'anno che adesso, invece, l'Italia butterà via in tassi di interesse e salirà a breve al 2%. Facendo l'esatto contrario, invece, questo governo sta sprecando risorse che si potrebbero lasciare nelle tasche degli italiani per poter agevolare i consumi, gli investimenti e le attività. Il debito si può gestire se si genera crescita e finchè ci sono persone che hanno fiducia nel tuo progetto, perchè c'è la possibilità di rifinanziarlo. Il problema sorge se si mischia un debito altissimo con politiche di spesa e affermazioni dissennate, il tutto unito alla mancanza di volontà di fare le riforme necessarie”.

Quindi, secondo lei, la colpa di questa situazione è da attribuire esclusivamente ad un governo entrato in carica nemmeno un anno fa?
“Nient'affatto. Io ritengo responsabile tanto questo governo quanto i precedenti: la flemma gentiloniana e le balle entusiastiche renziane non hanno fatto poco danno: durante quegli anni si è persa la grande possibilità di aprire una vera stagione di riforme, spalancando le porte alle forze che governano oggi”.

E Monti, invece?
“Monti  arrivò in un clima da tragedia nazionale. Al tempo – nonostante io sia tendenzialmente critico – dissi più volte che era sbagliato esagerare nei toni allarmistici e pensare che il problema fosse lo spread. Quel governo lavorò bene solo nella fase iniziale, per i provvedimenti tampone. Ma Monti si dimostrò privo di un'ampia visione di riforma. All'interno del suo esecutivo fu lui stesso, difatti, che bloccò gli interventi più drastici perché coltivava già ambizioni politiche. Il suo governo, dopo una buona fase iniziale, fu un disastro perchè non riformò nulla e perseverò nel grande errore di alzare le tasse senza toccare le spese. E questo, poi, lo ha pagato severamente”.

A proposito di Monti, il “decretone” approvato in Cdm dà il via libera anche alla quota 100 sulle pensioni. Si può dire – come annunciato da alcuni ministri in carica – che con essa sia stata definitivamente superata la legge Fornero?
“La quota 100 è una presa in giro. L'idea di smantellare la riforma Fornero, poi, è sbagliatissima perché quella legge è stata l'unica cosa decente che il governo Monti ha fatto. Bisogna mettersi in testa che il sistema pensionistico italiano è un sistema che 'ruba' il futuro ai giovani, dando loro aspirine per curare un tumore”. 

In che senso?
“In Italia si prendono pensioni troppo alte rispetto alla capacità di reddito del Paese. Le pensioni devono essere proporzionali al reddito che chi lavora produce. Questo squilibrio che c'è in Italia provoca due conseguenze: da un lato, i lavoratori rimangono con poco in tasca e non possono costruirsi un futuro; dall'altro – siccome la pensione appare come costo e non reddito – la gente capace scappa, mentre rimangono solo quelli che non hanno alternativa. Difatti il flusso di giovani che vanno all'estero – specialmente quelli che hanno una capacità di reddito molto alta – è anche il prodotto di un sistema tassativo punitivo. Bisogna dirlo: le pensioni sono la tassa più alta. Basti pensare che l'Italia spende il 16% del Pil in pensioni, quattro volte quello che spende in educazione. Se i soldi che spendi in spesa pubblica li usassi bene – quindi non in pensioni dove ti inventi la quota 100 perchè devi puntare ai voti – investendoli in educazione, forse avresti una forza lavoro più preparata che consentirebbe al Paese di crescere”.

Dunque, è convinto che il superamento della legge Fornero sia un errore?
“Chiunque voglia aumentare ulteriormente le pensioni rischia di far male a tutti i ragazzi che hanno meno di 40 anni. La quota 100 è solo una finestra creata per intercettare voti e determinerà meccanismi astrusi, permettendo ad alcuni privilegiati di andare in pensione prima. Ma il governo sarà presto costretto a chiuderla, determinando un'ulteriore ingiustizia e provocando altri danni”.

Come la mette, però, con gli effetti collaterali di quella riforma del sistema previdenziale? Penso, in particolare, alla questione esodati.
“Ma non fu colpa di Elsa Fornero! Si trattò di un errore tecnico di cui lei, anzi, si assunse la responsabilità politica. La questione esodati è stata usata in maniera strumentale per smontare agli occhi della gente una riforma che ha fatto solo che bene a chi ha meno di 40 anni e che era necessaria per salvare il Paese”. 

Parliamo del decreto Carige: il sistema bancario italiano continua a vivere sulle montagne russe. La nazionalizzazione, menzionata da un uomo forte del governo come Giorgetti, potrebbe essere una soluzione efficace per eventuali crisi future?
“Non si può nazionalizzare, ci sono accordi presi con gli altri Paesi europei che lo impediscono. Si possono, al massimo, dare garanzie e credito temporanei – tipo ponte – al fine di ristrutturare una banca in crisi. In realtà, l'unica operazione che il governo sta cercando di fare è mantenere il potere bancario sotto il controllo politico. La verità. è che il potere bancario – dei dirigenti, non degli azionisti – e il potere politico italiano sono in connubio da sempre”.

Lei ha sempre sostenuto che in Italia c'è un sistema di tassazione punitivo. Perché, allora, ha bocciato la Flat Tax?
“Semplicemente, perchè quella del governo non è una Flat Tax. La vera Flat Tax – a mio avviso ben fatta – è quella proposta da Dario Stevanato che articola una riforma complessiva del sistema di tassazione del reddito. Ha un problema: per renderla operativa bisogna tagliare la spesa. In Italia, tutte le forze politiche hanno detto che le tasse sono alte, peccato che non si possono tagliare le tasse senza tagliare le spese”.

Fare per fermare il declino, il partito di cui fu uno degli animatori nel 2013, lo aveva proposto?
“Noi avevamo coerentemente proposto una riduzione parallela di spese e tasse. Nel programma avevamo individuato in maniera molto precisa le spese da eliminare, indicandole una ad una ed avevamo fatto lo stesso con le tasse da tagliare.Il paradosso è che, chi promette di tagliare le tasse senza fare lo stesso con le spese, finisce poi di fatto per aumentare la tassazione. Chi governa oggi ha ridotto il carico ad alcuni gruppi – che loro individuano come potenziali elettori – e lo ha brutalmente aumentato da un'altra parte: sulle imprese, sul lavoro dipendente, vogliono farlo sulle transazione web, addirittura hanno provato a farlo sulle organizzazioni Ong”.

Il calo demografico è un problema endemico del nostro Paese, con conseguenze devastanti sull'economia nazionale. Nella legge di Bilancio c'è spazio per incentivi alle famiglie (proroga del bonus bebè, aumento del rimborso per il nido,detrazione fiscale sui seggiolini, congedi più lunghi). Sono provvedimenti che vanno sulla strada giusta per invertire la rotta della denatalità? 
“Stupidaggini. Bisogna guardare cosa succede in giro per il mondo: la Francia ha un indice di fertilità leggermente maggiore rispetto al nostro. Questo grazie soprattutto agli immigrati e alle cifre enormi che spende da anni a sostegno della natalità. Nonostante ciò, però, ottiene un risultato minimo. La verità è che tutto il mondo occidentale è nel pieno di una tendenza secolare di declino. I tassi di natalità sono bassi ovunque, quindi non sono queste piccole politiche di regalie che faranno invertire la rotta”. 

Cosa si può fare, allora?
“Se si devono spendere soldi, allora è meglio farlo saggiamente con politiche della scuola e del lavoro che funzionano. Se si osserva quanto avviene in giro per il mondo, ci si rende conto che le donne che lavorano di più fanno più figli e se ne curano di più.  C'è solo un modo per incrementare la fertilità: creando ottimismo. I figli li fanno gli ottimisti, quelli che vedono un futuro, che pensano di farcela ed hanno un motivo per lottare. Quando sei rinchiuso su te stesso, disperato, triste, egoista, pieno di odio e di invidia i figli non li fai, questa è la verità. E gli studi demografici confermano quanto sto dicendo. Quindi, per far aumentare la natalità è necessario fare riforme per la crescita e per far sì che le donne abbiano un ruolo più attivo nella società”.