ArcelorMittal, passo indietro: l'altoforno resta acceso

Tutto fermo, per ora, nel processo di spegnimento dell'altoforno 2 degli stabilimenti tarantini dell'ex Ilva. Lo ha comunicato l'azienda al termine di una giornata in cui, al di là delle pressioni dei giudici che hanno di fatto spinto il gruppo a lasciar da parte lo stop all'impianto, si è riaperto un nuovo spiraglio di dialogo fra ArcelorMittal e il premier Conte che, venerdì prossimo, dovrebbe avere un nuovo incontro con i vertici per cercare di fare il punto sulla situazione dell'acciaieria. Un riavvicinamento che, in realtà, sarebbe frutto di un intenso scambio di colloqui fra le due parti, tale da riuscire a trovare l'intesa quel tanto che bastava per intavolare una nuova trattativa. E magari scongiurare potenziali catastrofi, in un momento in cui il dibattito sul caso Ilva resta apertissimo, fra istanze dei lavoratori e proteste per l'emergenza ambientale.

Prove di trattativa

Intanto, un primo passo è stato effettuato in direzione della distensione: “L'azienda – come spiegato da Giuseppe Romano, segretario generale Fiom Cgil Puglia e Taranto – ha appena convocato i coordinatori di fabbrica e ha comunicato che sospende la procedura di spegnimento impianti e riapre gli uffici commerciali, per la vendita del prodotto, in attesa della sentenza del Tribunale di Milano. L'Afo2 al momento resta attivo”. E resta aperto anche il fronte dell'indagine, con la Procura di Milano che, pur non avendo ancora iscritto nessuno nel registro degli indagati, avrebbe avviato anche un filone d'inchiesta sul mancato pagamento delle aziende dell'indotto, che non più di 48 ore fa avevano minacciato il blocco del settore degli autotrasportatori se l'azienda non avesse provveduto a saldare le fatture da agosto in avanti.

L'alternativa

Intanto, la politica italiana continua a dibattere sul nodo dello scudo penale, ritenuta da ArcelorMittal la condizione minima (l'unica veramente essenziale) per riaprire il discorso Ilva: “Mittal – ha spiegato a Circo Massimo il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia – ha posto un ricatto occupazionale inaccettabile, che il governo ha già respinto. E dunque deve assumersi le proprie responsabilità e rispettare le leggi della Repubblica italiana”. Qualora la multinazionali decidesse infine di sganciarsi sul serio, il piano B riguarderebbe “l'amministrazione straordinaria, con un prestito ponte” da parte dello Stato, con l'attività che verrebbe affidata a dei commissari, come prima dell'avvento di Mittal.