Amatrice, sapori di rinascita

C'è silenzio lungo la strada che, attraverso alcune delle sue 62 frazioni, sale verso il centro di Amatrice. Dalla catastrofe del 24 agosto 2016 sono passati esattamente due anni, ma per i vicoli e i gruppetti di case lungo l'ultimo tratto della via che arrampica e ridiscende al di qua e al di là del fiume Tronto, è come se fosse ancora notte. La stessa notte in cui il tempo si fermò, lasciando a coloro che riuscirono a non essere travolti dalle loro stesse case solamente delle macerie da guardare, e magari i propri cari da piangere. Cascello, Voceto, Retrosi, Ferrazza: ex centri abitati dove i resti delle case attendono silenziosi, spazzati dal vento e accompagnati, di tanto in tanto, dal rumore di qualche macchina. Molte di quelle abitazioni sono devastate, su alcune sono cresciuti gli arbusti selvatici nonostante sui cancelli sia possibile ancora leggere i nomi di chi vi abitava; in altre si vedono ancora le porte, addirittura qualche mobile. Qui la vita si è fermata, attende, mentre al di là del crinale si iniziano via via a sentire le voci di una città che cerca in ogni modo di rinascere.

Il profumo del bosco che costeggia Amatrice viene coperto solo dall'odore che arriva dalle cucine di San Cipriano, dove cittadini e volontari della Proloco hanno allestito il village della Sagra degli spaghetti all'amatriciana, la prima organizzata dopo il terremoto. Una tradizione che ritorna, un incentivo per la rinascita, un modo per dire a tutti che gli abitanti di Amatrice ci sono ancora e che quel silenzio e quella devastazione non sono riusciti ad abbattere lo spirito di questa città. Il piazzale della sagra confina con uno degli schieramenti di casette assegnate agli abitanti dopo il sisma e, nonostante il clima di serenità e la presenza di numerosi turisti (circa 3 mila le presenze), il contrasto fra realtà e sogno è ancora fin troppo evidente: piccole costruzioni, una accanto all'altra, a pochi passi dalle transenne che delimitano la zona rossa che oggi si intravede soltanto, lì dove erano le case e le vite di quanti oggi attendono risposte, o quantomeno speranze, per il proprio futuro.

Ma è in questo contesto che s'inserisce il ritorno della Sagra, evento simbolo di Amatrice e uno dei più importanti del Lazio: offrire di nuovo il frutto dello storico mix dei prodotti locali, vedere persone di ogni età soddisfatte nel gustare il proprio piatto di pasta, è certamente uno stimolo per guardare al futuro con più fiducia. Nulla potrà far dimenticare quei minuti in cui la terra tremò, cambiando per sempre la storia di questa città, e i suoi abitanti lo sanno perfettamente. Si legge nei loro sguardi, si intuisce chiacchierando con loro, si respira nell'aria, pur intrisa dal profumo del pomodoro e del guanciale. Indietro non si potrà tornare ma, di sicuro, ripartire dalle proprie tradizioni è il segno più bello che gli amatriciani potessero dare: c'è una Amatrice che vive, che lotta e che, ancora una volta, è capace di dimostrare come l'identità cittadina sia la pietra angolare sulla quale ricostruire. Il sito della Sagra, spiegano, non è più quello di una volta: il corso dove era allestita in precedenza è fiancheggiato dalle macerie, dai resti dell'Istituto Minozzi, di una scuola e dai depositi di materiali. Ma, nonostante, la nuova location, tutto è riuscito alla perfezione: in cucina i ritmi sono forsennati, pecorino, guanciale e pomodoro passano veloci dai recipienti ai piatti di pasta, pronti per essere gustati. Ci sono stand per le degustazioni di vino e per la vendita di prodotti tipici del Lazio centrale, tavoli e gazebo, bancarelle e persino un centro commerciale. Non c'è una festa, sarebbe impossibile. Ma c'è vita.

Un cartello campeggia sullo stand di distribuzione della pasta: “Sì, ne vale la pena”. E, raccogliendo l'invito, risulta piacevole fare un giro nelle cucine, dove chef e volontari si danno da fare per soddisfare tutti. Qui è il centro operativo della giornata, i veri protagonisti sono loro e gli ingredienti che mescolano a ritmi da maratona. Ne approfittiamo per scambiare due parole con Adriana, una delle operatrici, che ci spiega come “rivivere e far rivivere la Sagra è la spinta più importante” per la città, “anche perché si tratta dell'evento maggiore per Amatrice”. Adriana racconta che, come tutti, era consapevole dell'impossibilità di preparare il tutto in un clima di festa: “Nello stesso tempo, però, era giusto ripartire, soprattutto per i bambini lì in prima fila – dice indicando un gruppo di giovanissimi amatriciani intenti a distribuire i piatti -. Loro sono rimasti ed è giusto che per loro la vita continui”. Le condizioni attuali della città non hanno certo fatto mancare le loro conseguenze anche a livello logistico: “Non è stato facile ma abbiamo avuto l'aiuto del Comune e della Regione (tra gli aiuti anche alcune volanti della Polizia municipale di Roma Capitale, ndr), altrimenti non sarebbe stato possibile realizzare tutto questo”. La salutiamo chiedendole se questo evento possa contribuire a richiamare un'attenzione maggiore su Amatrice e i suoi abitanti: “Io me lo auguro”.

La giornata scorre fra sorrisi e sguardi, tra chi sceglie di trascorrere un pomeriggio in tranquillità gustando e degustando, e chi percorre il corso in direzione della zona rossa. Da entrambi i lati la testimonianza di quanto il terremoto abbia spezzato la vita di questa città, con edifici riportanti danni via via più ingenti, che sembrano quasi preparare allo scenario di devastazione di quello che fu Corso Umberto I. Inutile nascondere che il percorso sarà lungo, e che gli abitanti di Amatrice abbiano il diritto di conoscere quale sarà il proprio futuro, mentre tradizione e cultura provano a risorgere con questo weekend di eventi: “E' un recupero della tradizione – spiega il sindaco della città, Filippo Palombini -. Noi siamo legati alla pasta perché siamo famosi anche per quella. La Sagra l'abbiamo fatta per cinquant'anni, ci ha cresciuti, e recuperare un pezzo di tradizione in un momento del genere è certamente molto importante”. Ma il primo cittadino ha tenuto a precisare che “la sagra non è un risultato: è un momento che serve alla comuntià per trovare stimoli. Quello che avete visto salendo dà la dimensione di un lavoro che durerà anni. Ma gli stimoli servono per sopravvivere, come segnale di fiducia. Oggi la Sagra non vuol dire di festeggiamento né si tratta di un modo per dire le cose vadano bene, ma per dire che devono andare bene. E' un segno di fiducia che ci siamo voluti dare, sforzandoci perché per noi è importante”. D'altronde, la sensazione che si ha oltrepassato il cartello di arrivederci è la stessa provata entrando: uscire da un cuore pulsante per rientrare nel silenzio di un corpo che, ancora oggi, cerca di trovare gli appigli per rialzarsi e tornare a camminare.