Washington Post: “Trump rivela segreti alla Russia”. Il presidente: “Un mio diritto”

“Come presidente volevo condividere con la Russia (in un incontro alla Casa Bianca programmato ufficialmente), cosa che ho assolutamente il diritto di fare, alcuni fatti relativi al terrorismo e alla sicurezza dei voli aerei. Per ragioni umanitarie, inoltre, voglio che la Russia faccia grandi passi avanti nella sua lotta contro l’Isis e il terrorismo”. Questo il tweet del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in risposta alle accuse lanciate dal quotidiano “Washington Post” sulla diffusione di informazioni top secret all’ambasciatore russo Sergej Kisliak e al ministro degli Esteri Sergej Lavrov, lo scorso 10 maggio. Anche da Mosca è arrivato un commento in merito alla vicenda, giunta per voce del Cremlino, Dimitri Peskov e riportata dall’agenzia Tass: “Non ci compete, non vogliamo avere niente a che fare con questa fesseria”, definita “qualcosa che non si può né confermare né smentire”.

Il nodo Russiagate

Non si ferma l’onda lunga del Russiagate che, di nuovo, torna a coinvolgere il presidente Trump. Le rivelazioni diffuse dal quotidiano, questa volta, hanno senz’altro avuto del clamoroso. Un ulteriore nodo che si aggiunge alla controversa questione delle possibili collusioni fra entourage governativo statunitense e russo, sul quale stava indagando l’ormai ex direttore della Fbi, James Comey, licenziato dallo stesso Trump poco più di una settimana fa. In questo caso, peraltro, l’accusa lanciata al presidente risulta più grave, in quanto le precedenti erano limitate al periodo di campagna elettorale.

Le informazioni di Trump

Come rivelato dal quotidiano della capitale, le informazioni “highly classified” (“altamente qualificate”), ossia le più elevate in termini di riservatezza, riguarderebbero argomenti altamente sensibili, come il sedicente Stato islamico e, più nello specifico, l’utilizzo da parte dei terroristi dei laptop in aereo, che prima gli Usa, poi anche Canada e Regno Unito, hanno vietato sui voli in entrata provenienti da 8 nazioni islamiche. Informazioni che, stando a quanto riportato nell’articolo, sarebbero state trasmesse alla presidenza da un ignoto alleato che, in ogni caso, non avrebbe fornito il proprio consenso per la loro divulgazione, limitandone la condivisione dei dettagli anche nell’indoor del governo Usa. La presunta rivelazione ai rappresentanti della Russia avrebbe perciò “messo in pericolo una fonte d’intelligence cruciale”. In tale incontro, inoltre, Trump si sarebbe detto compiaciuto della qualità delle intelligence che riceve ogni giorno.

McMaster: “Notizia falsa”

Dalla Casa Bianca, nel frattempo, era arrivata una secca smentita in merito alle rivelazioni del “Washington Post”. A intervenire per primo, il consigliere per la Sicurezza nazionale americano, H.R. McMaster, il quale aveva bollato come “falsa” la notizia riportata dal quotidiano, ricordando peraltro che a quell’incontro lui era presente. Nel comunicato apparso dopo la pubblicazione dell’articolo, McMaster specifica che il presidente non ha parlato di “metodi, fonti o operazioni militari”, senza tuttavia precisare anche le informazioni classificate. Le quali, secondo il consigliere, cesserebbero di essere coperte dal segreto di Stato qualora il capo della nazione decidesse di rivelarla. Una spiegazione che, confermata peraltro anche dal segretario di Stato Rex Tillerson, non ha convinto più di tanto (ancor meno dopo il tweet del Tycoon), sia perché, anche in virtù di questa facoltà, la rivelazione di informazioni top secret a rappresentanti del Cremlino è considerato un errore dai più, sia per l’ulteriore colpo alla stabilità politica dell’amministrazione Usa, già fortemente discussa e non certo in rapporti rosei con l’intelligence del Paese. Peraltro, l’ambasciatore Kisliak, è la stessa persona con la quale l’allora consigliere per la sicurezza nazionale Flynn avrebbe intrattenuto dei contatti. Motivo per il quale fu costretto alle dimissioni.