Un altro 11 settembre è possibile?

È difficile trovare qualcuno che non ricordi cosa stesse facendo l’11 settembre 2001. Una data che ha segnato la storia contemporanea, andando ad incidere sulle abitudini, nonché sul pensiero, sulle convinzioni dell’uomo qualunque. Per la prima volta gli Stati Uniti, invincibili nell’immaginario comune occidentale, furono colpiti con un fendente al cuore. Il Paese che seppe sconfiggere il nazismo e chiuse a proprio vantaggio la logorante partita a scacchi contro il gigante sovietico, cedette dinanzi al terrorismo islamico. Una masnada di sconosciuti eversori con passaporti di Paesi mediorientali, seguaci di Osama Bin Laden e militanti di al-Qaeda, riuscì a dirottare quattro aerei di linea degli Stati Uniti: due si annientarono sulle Torri Gemelle, uno cadde sul Pentagono, un quarto avrebbe dovuto colpire Washington ma fu deviato su un campo in Pennsylvania. Intervistato da In Terris, Francesco Bergoglio Errico, antropologo e senior research analyst per Ictyn (International Counter-Terrorism Youth Network), spiega in che modo quell’evento ha cambiato gli scenari geopolitici, la percezione della realtà, i rapporti di forza tra potenze e organizzazioni terroristiche.

Gli attacchi dell’11 settembre 2001 cosa hanno rappresentato per il jihadismo islamico?
“L’apice della potenza dell’organizzazione terroristica di matrice islamica. Il jihadismo diede un duro colpo all’intero Occidente, non per altro il World Trade Center era il simbolo per eccellenza del potere egemonico statunitense e del capitalismo. Con quegli attacchi i talebani capitanati da Osama Bin Laden dimostrarono di essere potenti a livello ideologico, economico e politico, portando, a livello internazionale, la jihad come strumento per eccellenza per combattere la civiltà capitalistica. Da quel momento in poi il jihad divenne globale, divenne il nemico numero uno e allo stesso tempo questo mostro invisibile e nascosto nelle remote montagne dell’Afghanistan sottolineava come la ‘nuova guerra’ non fosse più da combattere soltanto con i missili ma da contrastare anche e soprattutto attraverso la comunicazione e attraverso una contro-narrativa che possa far breccia nelle menti dei sostenitori del jihadismo”.

In questi anni abbiamo assistito all’ascesa di nuove milizie, su tutte l’Isis, che ha forse sottratto ad al Qaeda il primato sul fronte del terrorismo islamico. Oggi cosa ne è dei seguaci di Bin Laden?
“L’Isis in realtà ha rovesciato la strategia di al-Qaeda, ossia: la fondazione del Califfato governato dalla sharia, per al-Qaeda era ed è l’obiettivo da raggiungere, mentre per l’Isis l’instaurazione del Califfato servì per portare a compimento la propria ideologia apocalittica e profetica, creando nel cuore dei musulmani il cosiddetto “Califfato nel cuore”. L’Isis ha voluto sperimentare l’instaurazione dello Stato Islamico, sapendo già dal principio che avrebbero perso la battaglia, ma questo non conta perché il reale fine era quello di instaurare una nuova generazione di jihadisti per il futuro, con la conseguenza che il post-Califfato ha sbrigliato migliaia di Ftf, ossia un esercito, appunto, senza briglie, che si sparge un po’ verso l’Europa, un po’ verso l’Africa, un po’ verso Est e un po’ è rimasto nell’area del Siraq. Al-Qaeda, invece, non è mai scomparsa dalla scena; innanzitutto era ed è presente in Siria con al-Nusra, ma è presente soprattutto in Africa, con al-Mourabitoun oltre che con al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) e al-Shabaab, con un probabile ritorno ad una alleanza con Boko Haram. Insomma, la lotta per il potere jihadista tra Isis e al-Qaeda è in continua evoluzione: oggi l’Isis è in vantaggio ma domani chissà. È tutta questione di dialoghi con i gruppi armati locali o regionali e resta il fatto che sempre di jihadisti si parla”.

Diffusa è l’idea che gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano colpito obiettivi sbagliati dopo l’11 settembre 2001. I veri responsabili sono rimasti impuniti?
“L’invasione in Afghanistan del 2001 è stata un fallimento, tanto che la guerra in quel territorio non è ancora finita. Mi sembra chiaro che i responsabili siano rimasti impuniti nonostante la cattura di Osama Bin Laden e la morte di molti altri capi delle varie fazioni di al-Qaeda. Abbiamo di fronte l’Idra: se tagli una testa gliene crescono delle altre. Al-Qaeda ha colpito molte altre volte in Occidente dopo quell’invasione, di conseguenza restare in Afghanistan con lo scopo di eliminare i talebani non comporta l’annullamento di attentati in Occidente e tanto meno nell’area Mena, che vede quasi ogni giorno dei morti per mano dei jihadisti, senza contare il sud-est asiatico. Poi c’è stato il grande fallimento dell’invasione irachena del 2003 che ha destabilizzato ancora di più quell’area geografica del mondo, cedendo il governo nelle mani delle fazioni politiche opposte al governo di Saddam e del partito Bath, parte dei quali sono confluiti successivamente nelle sponde jihadiste del Daesh. Insomma, non si può eliminare un capo di Stato senza aver bene in mente come sostituirlo ‘democraticamente’, come poi è avvenuto durante la Primavera Araba con la funesta conseguenza che oggi l’Europa si ritrova la sponda Sud del Mediterraneo in completo caos e senza un piano per stabilizzare l’area e qui mi riferisco in particolare alla situazione libica”.

Come giudica che il governo Obama abbia messo il veto al Justice Against Sponsor of Terrorism Act, la legge che permetterebbe alle famiglie delle vittime dell’11 settembre di far causa a Governi stranieri che fossero responsabili di atti di terrorismo?
“Il Congresso respinse il veto di Obama, cosa che avvenne per la prima volta in otto anni. Per il presidente, il pericolo della legge in questione risiedeva nel fatto che poteva incrinare i rapporti diplomatici con un alleato importante come l’Arabia Saudita, nonché poteva esporre diplomatici, funzionari e aziende a processi fuori dagli Stati Uniti. Il governo saudita si espose moltissimo affinché non passasse quella legge, per cui penso che Obama temesse una fortissima escalation diplomatica tale da provocare con Riad un inasprimento non conveniente sia a livello economico che geopolitico. Una rottura, che poi non avvenne, con Riad avrebbe provocato perdite economiche e geopolitiche ingenti. Di fatti, Trump nel maggio 2017 a Riad firmò un accordo da 110 miliardi di dollari in armi e sistemi di sicurezza, consolidando così l’asse statunitense-saudita”.

Negli anni si è rafforzata la corrente di pensiero che dubita della versione fornita dalle autorità statunitensi su cosa sia accaduto quel giorno. Oltreoceano esiste un movimento di “Architetti e Ingegneri per la verità sull’11 settembre” che attende ancora risposte ad alcune obiezioni sollevate. Che idea si è fatto di questo dibattito?
“Ci sono decine e decine di documentari ‘complottisti’, da quelli più estremi che coinvolgono alieni a quelli più diffusi che sostengono che l’America si sia autocolpita per invadere i Paesi islamici. Di una cosa sono certo: qualcosa non quadra. Di sicuro la strategia della tensione ha una buona fetta della responsabilità di quanto accaduto; il mondo occidentale si è unito contro un unico nemico, il talebano, che mancava visto che l’Urss non esisteva più e la Cina ancora non era una vera e propria minaccia. Tutto ciò ha contribuito a rafforzare i rapporti politici ed economici trans-atlantici e ha consolidato nei Paesi occidentali l’idea dell’interventismo americano”.

In effetti resta ancora inevasa la domanda più banale: come è stato possibile che un gruppo di terroristi per alcuni versi improvvisati sia riuscito a bucare il sistema difensivo della maggiore potenza occidentale?
“C’è da dire che i terroristi dell’11 settembre non erano degli improvvisati. Al-Qaeda ha sempre reclutato persone fornendogli un ampio addestramento e indottrinando teologicamente gli aspiranti terroristi ed è su questo punto che si differenzia notevolmente da Daesh, ma comunque, quei terroristi sapevano molto bene quello che stavano facendo e conoscevano alla perfezione l’obiettivo. Dall’altro lato, presumibilmente, nessuno si aspettava un attacco del genere, tanto meno il Governo americano, il quale si fece trovare impreparato e senza una contro-offensiva adeguata”.

In diciassette anni come è cambiato il terrorismo islamico e come i sistemi d’intelligence occidentali? Un nuovo 11 settembre è un’ipotesi realistica?
“Tenendo fede al motto ‘la storia si ripete’, dico che potrebbe ricapitare un attacco terroristico di quelle dimensioni. Il terrorismo jihadista è mutato notevolmente nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa: siamo passati a dei messaggi videoregistrati in delle caverne a dei video di propaganda che nulla hanno da invidiare ad Hollywood. Anche i sistemi di reclutamento sono drasticamente cambiati: da un reclutamento prettamente face-to-face ad uno prettamente on-line. Vi sono centinaia di persone che si sono convinte di compiere il jihad guardando video on-line e chattando con reclutatori del Daesh che convincevano persone a migliaia di chilometri di distanza che si viveva benissimo nel Califfato e che si poteva trovare l’harem in paradiso una volta compiuto il suicidio in nome di Allah, e non solo, oggigiorno basta giurare davanti una fotocamera del telefonino per diventare jihadisti, cosa che con al-Qaeda non è mai accaduta”.

Lo “scontro di civiltà” profetizzato nel 1996 dallo scienziato politico americano Samuel P. Huntington si è verificato?
“Non credo ci sia uno scontro di civiltà in corso e penso sia banale sostenere che il mondo Occidentale sia contro l’Islam o viceversa. L’Occidente è diviso come dimostra l’attuale Unione europea, gli Stati membri sono divisi al loro interno, con una crescente destra sovranista e anti-europea, gli Stati Uniti sono un’incognita visto che si era prospettata una politica isolazionista con le elezioni di Trump e che, per il momento, non sembra volersi isolare. Dall’altro canto, il mondo musulmano non pensa, come fa al contrario il riconosciuto padre dell’islam radicale Sayyid Qutb, in un mondo diviso tra territori islamici e territori non islamici. Nell’islam radicale non esiste solo al-Qaeda e Daesh, ma esistono salafiti puristi, politici e jihadisti, esistono gli sciiti, i sufi e altre correnti ancora. Quindi, all’interno delle civiltà ci sono altre numerose civiltà o sotto-civiltà, senza dimenticarci che esiste anche la Cina che politicamente ed economicamente è influente come non mai, soprattutto in Africa dove sta investendo miliardi di dollari”.

Dal 2001 ad oggi quasi tutti i maggiori Paesi occidentali hanno subito attentati terroristici nei propri confini. Eccezione è l’Italia. A cosa si deve? Solo all’efficacia della politica di espulsioni?
“Questo strumento è efficace, tanto che siamo ad oltre 300 espulsioni dal gennaio 2015. Se l’Italia non ha mai subito attacchi è per il fatto che i nostri servizi di intelligence funzionano alla perfezione, soprattutto grazie al Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, invidiato dai servizi di intelligence stranieri, che si riunisce ai massimi vertici per fare il punto della situazione più volte alla settimana e che agglomera le diverse forze dell’ordine, creando una rete di scambio informativo capace di sventare ogni prototipo di attacco. Altra spiegazione è la non presenza di terze e quarte generazioni, come in Francia o in Belgio, e quindi la mancanza di migliaia di giovani musulmani cittadini dello stato vulnerabili alla radicalizzazione e alle narrative jihadiste. Tornando alle espulsioni: se oggi possiamo permetterci di espellere radicalizzati, jihadisti e persone in fase di radicalizzazione, è proprio grazie alla mancanza di quelle terze e quarte generazioni, per cui, dobbiamo tener ben presente, che tra qualche anno, anche in Italia arriveranno, e di conseguenza abbiamo la possibilità di agire fin da subito con delle campagne efficaci atte alla prevenzione della radicalizzazione, a partire dalle scuole fino ad arrivare alle università, cercando di troncare alla radice, la possibilità che dottrine jihadiste possano prender piede tra le prossime generazioni di musulmani”.