Ucraina, ecco Zelenskij: tutte le sfide del servo del popolo

Smaltita la sbornia post-elettorale, Kiev si è risvegliata salutando l’era Porošenko, pronta ad accogliere il nuovo Presidente, il comico Volodymyr Zelenskij, fino a qualche mese fa conosciuto esclusivamente come “Sluha Narodu”, ossia come “servo del popolo”, nome della serie tv che ha spopolato in tutto il Paese, preludio alla reale candidatura che sembrava essere l’ennesimo colpo di teatro in un Paese che negli ultimi 5 anni ci aveva abituato proprio a tutto, mentre si è rivelata essere un'alternativa sempre più presente nelle scelte dell’elettorato ucraino, evidentemente esasperato dopo gli ultimi anni fatti esclusivamente da retorica nazionalista, guerra civile, promesse disattese e crisi economica.

La disfatta di Porošenko

Se la maggior parte delle analisi, infatti, sono state incentrate nel tentare di interpretare il dato elettorale dalla parte del vincitore (preferito con ben il 73,22% dei voti), in pochi si sono soffermati sulla completa disfatta, peraltro annunciata, del Presidente uscente Petro Porošenko, fermo al 24,45%. Neanche la distribuzione geografica del voto (fattore fondante della politica interna ucraina) lascia spazio ad ulteriori dubbi: Zelenskij ha trionfato in tutte le regioni del Paese, fanno eccezione solo alcuni distretti dell’estremo Occidente. Il comico ha vinto in tutte le circoscrizioni a Kiev, ma anche a Charchov, Odessa, Dnipro e Zaporože, confermando la sonora bocciatura ricevuta dal “re del cioccolato”, traghettatore del Paese in una fase post-Majdan che sembrava promettere all’Ucraina un futuro sui banchi di scuola dell’Europa e della Nato, ma che nella realtà si è dimostrato essere un pantano condito da nazionalismo esasperato, corruzione, guerra ed una crisi che sembra non poter avere fine. L’inesperienza di Zelenskij, infatti, non si è rivelata essere un fattore invalidante, né i rapporti stretti con il magnate Igor Kolomojskij (proprietario del canale 1+1 sul quale è andato in onda lo sceneggiato di cui sopra) hanno preoccupato gli ucraini, vogliosi più di mandare a casa il vecchio che di preoccuparsi di un futuro comunque ancora incerto.

Fine di un capitolo

Questo elemento la dice lunga sulla fine dell’ideologia e della retorica post-Majdan della quale Porošenko ha sempre abusato durante il corso del suo mandato. La guerra nel Donbass ha demoralizzato l’orgoglio nazionale, la Crimea è saldamente nelle mani di Mosca, le Repubbliche autoproclamatesi indipendenti resistono, mentre sia l’Unione Europea che la Nato sembrano da tempo aver perso ogni speranza nei confronti di Kiev: l’appoggio incondizionato del dipartimento di Stato americano è sfumato in maniera graduale sotto la gestione Trump, mentre Bruxelles, dopo aver varato la sanzioni economiche alla Russia, è stata impegnata nella gestione di problematiche di ben altra priorità. In poche parole, la disfatta elettorale di Porošenko segna la bocciatura definitiva della retorica che ha portato il Paese a tagliare completamente i cordoni con la Russia, eterna croce fin dal XIX secolo, “sorella maggiore” dall’abbraccio protettivo e soffocante al tempo stesso, in una dicotomia rivelatasi spesso e volentieri fatale alle ambizioni di un Paese sconquassato all’interno da fratture culturali fin troppo profonde per poter essere risolte nel giro di un mandato presidenziale.

Il nuovo corso

Le prime dichiarazioni di Zelenskij sono state rivolte non soltanto all’Ucraina, bensì a tutto lo spazio post-sovietico: se a Kiev qualcosa è cambiato, tutta la Csi può cambiare, ha dichiarato il comico in versione Rocky Balboa post-incontro con Ivan Drago, ammiccando palesemente a quelle realtà politicamente “ferme” come Russia, Kazakhstan e Bielorussia, riponendo una forse fin troppo ingenua fiducia nel proprio esperimento politico. Proprio lo sviluppo futuro del rapporto russo-ucraino dovrà essere costantemente monitorato: Zelenskij si esprime in russo, nonostante le sue ferme posizioni filo-ucraine su Crimea e Donbass è stato il primo a parlare di “guerra civile” e non di “aggressione russa”, ha riconosciuto la necessità assoluta di fermare gli scontri e di intavolare un dialogo con il Cremlino. Qualcosa cambierà? Difficile stabilirlo in questa fase. Zelenskij parte con tanto entusiasmo e buone intenzioni in un Paese corroso dalla corruzione e dalle attenzioni di Russia e Nato puntate addosso. I margini di movimento del nuovo Presidente potrebbero essere limitati da una Rada ancora ancorata a vecchi volti e, soprattutto, ai soliti interessi.

Scenari futuri

Mosca ha dichiarato che giudicherà il nuovo corso ucraino soltanto sulla base del suo operato futuro. Tuttavia, nonostante le politiche provocatrici di Porošenko siano state bocciate sonoramente dall’elettorato, Zelenskij rappresenta un’incognita potenzialmente pericolosa, molto più della politica estera goffa e prevedibile portata avanti dal proprietario di Roshen. Il nuovo Presidente, poi, dovrà equilibrare anche il rapporto con Washington, non proprio soddisfatta del suo “manovratore” Kolomojskij: il proprietario di PrivatBank, infatti, inserito dagli Usa nella lista di profili da sanzionare, venne graziato proprio dal suo avversario Porošenko in tempi non sospetti. Che il maggior finanziatore del battaglione filonazista Azov non stia cercando una clamorosa intesa con il Cremlino? In un contesto dai tratti ancora così confusionari avanza un’ipotesi che sembra essere sempre meno campata in aria: la Russia potrebbe riacquisire la sua sfera di influenza ucraina senza sparare un colpo, puntando tutto sui rapporti nascosti e controversi che gli oligarchi di Kiev intrattengono ancora con i suoi sistemi.