Trump incontra Kim: ecco di cosa si parlerà

Dal G7 canadese a Singapore, pronto a un vertice di proporzioni storiche, Donald Trump è atteso da un summit, quello con il leader nordcoreano Kim Jong-un, considerato quasi impossibile solo qualche mese fa. Il confronto del 12 giugno sembra rappresentare la svolta diplomatica volta a mettere fine a un lungo periodo di tensioni geopolitiche fra Washington e Pyongyang che, in più occasioni, avevano gettato il Pianeta nella paura di un nuovo e devastante conflitto. Il lavoro sottotraccia di molti attori, primo fra tutti la Corea del Sud, ha permesso di avviare un percorso di dialogo e distensione ruotante però attorno a un tema che per gli Stati Uniti resta fondamentale, quello della denuclearizzazione della Corea del Nord. Questione imminente e certamente centrale dietro la quale, però, restano sopiti argomenti altrettanto decisivi. In Terris ne ha parlato con il dott. Sergio Miracola, analista geopolitico e ricercatore presso l'Istituto per gli studi di Politica internazionale (Ispi).

 

Dott. Miracola, Trump ha lasciato un G7 estramemente importante per incontrare Kim a Singapore, un incontro che sembra avere la denuclearizzazione non solo come tema centrale ma anche quasi esclusivo…
“Purtroppo sì. Per quanto riguarda il prossimo summit la denuclearizzazione e la ricerca di un accordo di pace saranno gli unici due pilastri di un possibile accordo. Quando Trump aveva paventato la decisione di annullare il vertice, fu perché gli avevano fatto notare che la richiesta della cosiddetta Cvid (Denuclearizzazione irreversibile completa e verificata) era impossibile da ottenere. Quindi, per cercare di salvare la sua immagine a livello diplomatico, aveva deciso di annullare tutto. Certo, c'erano anche altre ragioni dietro questa decisione: per esempio il fatto che all'interno dell'amministrazione americana ci siano dei contrasti per capire esattamente quale sia il modello ideale da applicare alla Corea del Nord. Bolton aveva proposto il cosiddetto modello-Libia mentre in realtà Trump non ha direttamente avallato l'ipotesi… Questo ha creato contrasti all'interno dell'amministrazione. Da quel momento, però, c'è stato un lavoro continuo da parte di funzionari nordcoreani e americani per cercare di trovare un tavolo d'incontro comune. Questo spiega perché ora la macchina si è riattivata e il summit confermato”.

Cosa dobbiamo aspettarci da questo confronto?
“Alla base resta sempre un unico principio: si è trovata un'intesa molto generale sulla denuclearizzazione e su un accordo di pace. Quindi, il summit del 12 si terrà perché grossomodo c'è un accordo (non nel dettaglio), cosicché entrambi i leader possano in qualche modo salvare la propria immagine, a livello diplomatico e domestico. Trump, da parte sua, ha bisogno di un risultato diplomatico tangibile, da un lato perché questo incontro è davvero storico e dall'altro perché, in questo modo, punta a vincere le elezioni di medio termine a novembre e forse anche a competere per il Nobel per la Pace. Di rimando, Kim Jong-un dimostrerà di essere un leader particolarmente carismatico che è stato in grado di ottenere benefici economici per il proprio Paese. A fianco della denuclearizzazione, l'altro elemento fondamentale è infatti il trattato di pace. Un asset particolarmente importante perché voluto a più attori: mentre la denuclearizzazione, pur importante anche per altri, riguarda in modo maggiore gli Stati Uniti, il trattato è davvero, e in maniera molto significativa, nell'interesse di tutti, dalla Cina alla Corea del Sud e, ovviamente, anche alle Nazioni unite, perché anche loro dovranno partecipare a un eventuale accordo di pace. Resta da vedere su quali punti si cercherà un'intesa. Non mi sento di ipotizzare un accordo dettagliato: si troverà un punto d'incontro molto generale giusto per dare l'impressione che qualcosa è stato fatto”.

Ha citato diversi Paesi… Il Giappone nutriva alcune speranze nel bilaterale per quanto riguarda il delicato tema dei prigionieri politici, argomento che, invece, sembra essere rimandato a data da destinarsi…
“Non a caso Abe si è incontrato con Trump perché il suo obiettivo è quello di ottenere riconoscimenti nel campo dei diritti umani, in merito all'annosa questione dei prigionieri scomparsi, per la quale il Giappone cerca risposte e non solo un indennizzio economico, poiché si tratta di una pagina certamente molto brutta della storia giapponese. E' inevitabile, però, che toccare quei punti non porterebbe da nessuna parte e creerebbe ulteriore stallo in una situazione già di per sé particolarmente delicata. Anche sui due “pilastri”, infatti, ci sarà tantissimo da discutere e aprire parentesi legate ai diritti umani rischierebbe di farli vacillare”.

Quindi escludere il tema dall'imminente summit fa parte di una strategia precisa?
“Ci sono interessi economici molto importanti per tutti gli attori coinvolti, in un certo modo anche per il Giappone stesso. Questo perché un eventuale ipotetico trattato di pace aprirebbe scenari economici molto interessanti per tutti: la centrale industriale del Kaesong, che unisce le due Coree, potrebbe essere riaperta e funzionerebbe benissimo per entrambi i Paesi e anche la Cina finalmente riuscirebbe a investire risorse nella Corea del Nord.  Pyongyang stessa avrebbe bisogno di aprirsi all'esterno anche perché Kim, nel 2013, aveva stabilito la politica cosiddetta del doppio binario: il potenziamento del settore militare e, parallelamente, di quello dell'economia. Il primo settore ha fatto progressi davvero enormi, l'altro decisamente meno. Nonostante Kim abbia dichiarato che avrebbe smesso di effettuare ulteriori test nucleari e smantellato siti atomici, il messaggio nascosto sarebbe quello di sospendere momentaneamente l'assetto nucleare, perché ha raggiunto una sufficienza minima di deterrenza, così da aprirsi all'altro binario, rimasto in sospeso o comunque indietro rispetto all'altro”.

E' un obiettivo possibile?
“La Corea del Nord ha quindi bisogno di rimettersi in carreggiata a livello economico e, su questo punto, c'è una cosa che spesso in molti hanno sottovalutato: si parla moltissimo di Trump, di Moon Jae-in, che sicuramente hanno fatto un lavoro diplomatico eccellente, ma poco del grandissimo ruolo della Cina. Pechino, nel 2017, ha davvero messo in ginocchio l'economia norcoreana e Pyongyang sa benissimo di aver bisogno del supporto economico cinese per sopravvivere. Infatti, i primi segnali di un'apertura diplomatica da parte di Kim sono arrivati proprio nel momento in cui la Cina ha scelto non soltanto di supportare le sanzioni dell'Onu ma di mettere un ulteriore carico attraverso gli embarghi e chiudendo i canali economici con la Nord Corea. Quindi, da una situazione di pace (e non di armistizio) ci guadagnerebbero davvero tutti, creando condizioni molto favorevoli. Se l'economia riuscsse in un breve periodo a essere uno dei volani principali della stabilità regionale, nessuno andrebbe a toccare il capitolo particolarmente delicato dei diritti umani”.

Per questo, prima di incontrare Trump, Kim ha svolto due vertici a sorpresa con Xi Jinping?
“E' significativo che Kim sia andato in Cina da Xi Jinping già un mese prima di effettuare il terzo summit intercoreano a fine aprile, per poi replicare (prima che Trump annullasse il vertice) a Dalien. Questo perché necessita di trovare un accordo di massima con la Cina come supporto diplomatico prima di affrontare qualsiasi tipo di summit. E, ovviamente, il punto principale riguarda, per Pechino, sia cosa chiedere in cambio a livello economico alla Corea del Sud e agli Stati Uniti sia come gestire il capitolo delle aperture e delle riforme economiche. Xi, infatti, sta cercando di studiare dei modelli che vadano a richiamare quelli di apertura di Deng Xiaoping. Dall'altro versante, capire come gestire il capitolo militare dell'assetto nucleare. Su questo c'è un accordo di massima fra Kim e Xi in cui si cerca di ribadire che l'intesa del 1961, che lega a doppio filo entrambi i Paesi comunisti, non venga mai messo in discussione ma che, anzi, potrà essere richiamato nel caso in cui le circostanze dovessero richiederlo”.

L'apertura di Trump sulla riammissione della Russia al G8 potrebbe essere connessa al ruolo di Putin nei confronti di Pyongyang o si tratta di temi separati?
“Tenderei a separare le due cose, perché la Russia ha un ruolo molto ambiguo nei confronti della Corea del Nord: da un lato vorrebbe sostituirsi alla Cina, dimostrando la sua vicnanza e una certa competenza diplomatica anche nel settore della denuclearizzazione. Ma, almeno in questo caso, le due questioni non sembrano direttamente connesse”.