“Travel ban” confermato dalla Corte suprema

La Corte suprema degli Stati Uniti ha confermato il “Travel ban” di Donald Trump, il provvedimento con cui il presidente Usa ha limitato l'accesso sul territorio americano ai viaggiatori provenienti dai Paesi a maggioranza musulmana. 

La decisione

I giudici, nella sentenza, hanno fatto propria la tesi del governo, secondo cui Trump, nell'adozione del bando, ha agito nell'ambito delle prerogative presidenziali, tra cui rientra la politica di sicurezza che può espandersi sino al punto di “vietare l'ingresso di stranieri negli Usa”. Euforico il leader della Casa Bianca, che ha subito twittato: “La Corte suprema conferma il mio Travel ban, Wow!”. “La Corte suprema – ha affermato poi in una nota – ha confermato con chiarezza l'autorità del Presidente nella difesa degli interessi nazionali degli Stati Uniti. La sentenza è una risposta ai mesi di commenti isterici da parte dei media e dei Democratici, che non hanno fatto ciò che è necessario fare per rendere sicuri i nostri confini e il nostro Paese”.

La critica

I detrattori del provvedimento sostenevano che il esso non avesse reso il Paese più sicuro ma, anzi, fosse gravemente discriminatorio nei confronti dei musulmani, violando il principio costituzionale che vieta la discriminazione per motivi religiosi. Nonostante la Corte abbia promosso il bando, il giudice John Roberts ha criticato Trump. “Il presidente degli Stati Uniti ha la straordinaria opportunità di poter parlare a nome del popolo americano. Questo potere è stato spesso utilizzato per sposare i principi di libertà religiosa e tolleranza su cui è stata fondata la nostra nazione”. Roberts ha ricordato che, dopo gli attacchi dell'11 settembre, George W. Bush aveva difeso la “vera fede dell'islam”, sottolineano che “l'America è un grande Paese perché tutti condividiamo i valori di rispetto, dignità e umanità”. Ciononostante, ha aggiunto, “non può essere negato che sia il governo federale che i vari presidenti – sin dalla fondazione della nazione – non sempre hanno agito seguendo questi principi ispiratori”. Contrariato l'avvocato Neal Katyal, avverso al bando. “Sono deluso da questa decisione – ha dichiarato – ma non smetterò di combattere Trump, che dovrebbe smettere di attaccare la nostra costituzione”. 

Il bando

Il “Travel ban” riguarda le persone provenienti da 5 Paesi musulmani, considerati ad alto rischio terroristico: Siria, Iran, Libia, Yemen e Somalia. In seguito limiti meno stringenti furono aggiunti anche per chi proviene da due nazioni non islamiche: Corea del Nord e Venezuela. L'ultima versione del provvedimento è del dicembre 2017. In precedenza Trump aveva adottato 3 ordini esecutivi, prontamente stoppati da tribunali locali. Dopo alcune pronunce avverse, l'ultimo “Travel ban” è stato portato davanti alla Corte suprema. Una versione più soft delle precedenti, con la quale, ad esempio, sono state riattivate le procedure per l'accoglienza dei rifugiati, che in un primo momento erano state sospese a tempo indeterminato. Gli oppositori hanno portato avanti la tesi che il disegno di Trump fosse quello di vietare l'ingresso a tutti i musulmani. Per farlo avevano citato tutte le affermazioni dispregiative usate dal leader di Washington contro gli islamici, risalenti anche ai tempi della campagna elettorale. I giudici Roberts e Anthony Kennedy hanno, in parte, riconosciuto l'esistenza di alcune posizioni islamofobe da parte di Trump, sottolineando, tuttavia, di non poter contrastare il potere del presidente su quella che egli ritiene essere una questione di sicurezza nazionale.